L’anno scorso Mike ha perso uno dei suoi migliori amici per suicidio e questo ha cambiato il suo mondo. Il suo album di debutto, Post Traumatic, affronta questa perdita e il cammino che ne consegue.
È personale, come lo è qualsiasi lutto, ma fa parte di qualcosa di più grande. Vedete, Chester Bennington ha significato molto per Mike, ma ha significato molto anche per il mondo in generale.
Come i “Twin Peaks” dei Linkin Park, i due hanno lavorato fianco a fianco per quasi 20 anni, diventando una delle più grandi e famose band rock nel mondo attraverso una carriera di sette album, innumerevoli tour mondiali e una connessione con la gente che li ascoltava. I Linkin Park hanno cambiato le regole del gioco giorno dopo giorno rappresentando qualcosa di reale, sensibile e importante.
La perdita di Chester è stata sentita in tutto il mondo; le persone avevano perso un idolo, un modello e un qualcuno che sentivano li comprendesse. Mike però, aveva perso un membro della famiglia. Aveva perso anche la motivazione. Per quasi metà della sua vita era stato “Mike Shinoda dei Linkin Park”. Adesso non ne era più così sicuro.
Inizialmente, Mike non sapeva cosa fare. Il suo modo abituale di gestire le emozioni era di entrare in studio e di creare, ma ora questo lo spaventava. Per nove giorni ha lasciato che questa paura lo dominasse finchè non ha deciso di affrontarla faccia a faccia. All’inizio ha iniziato soltanto a strimpellare, creando per il gusto di farlo, ma alla fine la musica che gli piaceva ha iniziato a prendere forma.
Questo è Post Traumatic; istantanee di quello che è successo dopo, di come Mike fa i conti col passato e come guarda al futuro. Attualmente si trova a Los Angeles, facendo gli ultimi ritocchi al disco e parlando del tempo.
“Sto abbastanza bene: sono alle battute finali. Stiamo iniziando a missare, stiamo concludendo il resto dell’album e mi mancano solo una canzone o due. Una canzone è finita al 90% e ce n’è un’altra che è al 75% o 80%, ma il resto è fatto. È finito.
Adesso comunque sto solo passando il tempo a Los Angeles godedomi il sole e la pioggia contemporaneamente. È strano, mi sono alzato stamattina e ho pensato avrebbe piovuto tutto il giorno, ma ora fa caldo. Non riesce a decidersi”.
Mike parla delle sue esperienze senza filtri e quando non riesce a trovare le parole, usa delle storie che rispecchiano il suo cammino.
Dai primi passi di Place to Start in avanti verso l’ignoto, tutto Post Traumatic lo trova ad affrontare il mondo faccia a faccia.
“Ad un certo punto sono diventato curioso e ho cercato altri artisti o altre band che fossero passati in una situazione simile a quella in cui sono passato io. Ho cercato di sapere cosa hanno fatto dopo. In quanto tempo sono tornati a suonare, a suonare live o a scrivere o pubblicare un album?
Erano ovunque, ovviamente.
Alcuni non lo hanno mai fatto, altri si sono presi una pausa di 10 anni, e altri come gli AC/DC per esempio hanno buttato fuori Back in Black in meno di 6 mesi (dopo la morte del cantante Bon Scott). Mi rispecchio di più negli AC/DC ma, in un certo senso, la cosa che per loro ha funzionato è stata che conoscevano già Brian Johnson (il “nuovo” cantante)”.
Non è che i Linkin Park si siano trovati da soli però. Il loro concerto tributo a Chester all’Hollywood Bowl ha visto partecipare Oliver Sykes dei Bring Me The Horizon, Jeremy McKinnon degli A Day to Remember, i Blink-182, Alanis Morissette, Daron Malakian e Shavo Odadjian dei System of a Down e M. Shadows degli Avenged Sevenfold.
“L’obiettivo primario era omaggiare Chester e dare ai fans un evento per ricordarlo, per lui e per loro. Conosciamo molte persone che cantano e sono fantastici, ma siamo stati sul palco all’Hollywood Bowl, abbiamo cantato tante canzoni con tanta gente e, dopo essere scesi dal palco e nella settimana successiva, stavo riflettendo sullo show che era appena successo. Stavo pensando, Dio tutti questi cantanti erano grandi e nessuno di loro era Chester.
Oltre ad essere un uomo speciale, era uno dei migliori cantanti rock del mondo di tutti i tempi e uno dei più versatili. Aveva una voce così unica. È stato molto difficile per me abituarmi a non fare nulla in quella strada.
Non abbiamo piani per i Linkin Park, ma intanto, stavo lavorando a queste canzoni da solo e mi stavo appassionando tanto che se fosse stato terapeutico per me, sarebbe probabilmente stato terapeutico da ascoltare anche per i fan. È così che tutto questo è nato.”
Facendo questo disco, portandolo in tour, condividendolo, c’è la speranza che Mike troverà le risposte che attualmente non ha.
“Non lo so se avessi potuto fare qualcos’altro”, continua. “Le uniche altre cose che ho pensato erano che mi piace scrivere con altre persone, che sarei felice di produrre gli album di qualcun altro o scrivere con altri artisti, e poi mi piace dipingere e mi sarebbe piaciuto aver fatto qualche esposizione d’arte in qualche galleria.
Ma tutto questo non mi avrebbe dato la catarsi e la terapia che questo album mi ha regalato, non solo per me ma anche per mettere al passo i fans su a che punto sono.
Questo dialogo avviene in diretta ed è qualcosa che è stato molto importante per me.
Sto cercando di essere più aperto riguardo a come stanno andando le cose. Inevitabilmente, devo parlarne durante le interviste e con i fan, e dovrò andare sul palco a cantare queste nuove canzoni e anche la nostra vecchia roba.
Ho davvero esaminato per bene tutto questo. Mi sono assicurato che strada facendo, io sia preparato a farlo. Non mi posso preparare ad ogni possibile risultato o ogni possibile situazione, ma volevo sentirmi di aver pensato a tutto e di intraprendere questo impegno con un certo senso di conoscenza di ciò in cui mi stavo cacciando.
Una delle cose per cui ero più nervoso era incontrare i fan da solo” prosegue Mike. “Sarei stato personalmente responsabile quando fossero venuti lì e avessero iniziato a parlare di Chester, piangendo o facendomi domande o chissà cos’altro. Sarei stato responsabile di quelle conversazioni.
All’inizio ero preoccupato che sarebbe stato estenuante, che sarebbe stato difficile da fare. Ho incontrato diversi fan presentarsi e dirmi ‘ho sofferto di depressione tutta la mia vita, ho provato a suicidarmi più di una volta, quindi tutto ciò è stato difficile per me e posso identificarmi in questa situazione’.
Mi stavano solo dicendo delle cose; non mi stavano chiedendo di risolverle o di dare loro consigli o soluzioni, mi stavano solo confidando delle cose. Questo può essere molto molto difficile sai, ma ricordo a me stesso che c’è un senso di generosità e amore in loro per essere così vulnerabili dicendomi quelle cose”.
In Post Traumatic Mike cerca di ripagarli con la stessa moneta.
“Lo so che sono nella posizione di non poter risolvere i problemi degli altri, ma posso comunicare il mio cammino personale e le mie difficoltà così che loro possano avere un punto di riferimento e sapere che non sono soli”.
Se state leggendo questo articolo, la morte di Chester ha probabilmente colpito anche voi. Ha colpito noi. È praticamente impossibile dire a parole quanto, ma sapere che non siamo soli in questa confusione, in questa perdita… Rende le cose un po’ più facili.
“Nel bene o nel male, è il mio lavoro esprimere a parole queste cose” dice Mike con un mezzo sorriso. “Mi sono accorto che il mio punto di vista sulle cose cambia leggermente di tanto in tanto. La comunità intorno agli Alcolisti Anonimi, non il gruppo ma la rete di supporto per amici e famiglie, spesso insegna che essere un supporto è parte del problema ma che non sei responsabile per le azioni degli altri. Puoi fare quello che vuoi per aiutare ma solo in certi limiti. Puoi aiutare solo se sei in grado di proteggere e amare anche te stesso.
Bisogna imparare dalla mia situazione, ho anche io i miei problemi personali e le mie difficoltà da gestire. Ad un certo punto mi sono trovato costretto a rispondere a persone su Twitter che erano palesemente nei guai ma mi sono ricordato che non era utile. Non posso risolvere i loro problemi, quello che posso fare è dare un esempio di quello che sto facendo da solo.
E’ propria responsabilità guardare alle proprie cose e capire qual è la strada migliore per affrontarle, tutti abbiamo i cazzi nostri”.
Aggiunge “Ma comunque sono un essere umano anche io. Vedo qualcuno soffrire e voglio fare qualcosa”.
Mike ha condiviso sé stesso col mondo ma in ‘Post Traumatic’ è l’atto di dialogare e parlare che è importante, non il risultato. Condivide il suo personale sentiero, i giorni buoni e quelli negativi, senza la paura di essere giudicato e incoraggia la gente a fare lo stesso, perchè non sono soli.
“Da una parte volevo che fosse relativamente in ordine cronologico, dall’altra doveva però suonare in una sequenza ascoltabile per un album. Ho cercato di mantenere un equilibrio tra questi due aspetti ma alla fine va da un posto buio e claustrofobico, ad un luogo più aperto e luminoso. ‘Crossing a Line’ è praticamente al centro dell’album” spiega Mike. “Ti dà un senso di transizione dal non voler lasciare la mia fottuta casa ed essere nuovamente parte della società. C’è stato circa un mese in cui dovevo uscire nuovamente nel mondo e sentirmi ok. All’inizio non volevo lasciare casa mia e uscire per pranzo perchè avevo paura. La gente sarebbe venuta da me a dirmi ‘Oh mi dispiace tanto per quello che è successo’ e avrei dovuto sostenere queste orribili conversazioni con sconosciuti”.
Mike Shinoda aveva già pubblicato album da solo. Il suo progetto Fort Minor pubblicò The Rising TieT nel 2015 rilasciando anche il singolo Welcome come pretesto per allontanarsi dagli stadi in cui i Linkin Park stavano suonando il loro The Hunting Party, riconnettendosi con i fan.
“Non avevo dubbi che sarei stato in grado di fare un album, lo faccio per i Linkin Park tutte le volte. Sono al timone di questa nave, so che posso fare tutto acusticamente. In termini di abilità e processo, non è un problema. Anzi l’opposto: è una delle mie cose preferite.
Ho fondamentalmente usato il mio nome perché non volevo che la gente pensasse fosse un album dei Fort Minor o dei Linkin Park o qualsiasi altra cosa. Ha il suo proprio sound”.
Il disco è sotto il suo nome, a dimostrare che si tratta di qualcosa di intimo e personale ma anche nuovo ed eccitante, senza aspettative.
“Ogni volta che attraversi qualcosa di traumatico o stressante, una delle peggiori sensazioni umane è la perdita di controllo. Non avevo più nemmeno controllo su chi fossi. Ad un certo punto la mia identità era in pericolo perciò, fare questo album, avere un’idea per un video e poi in sei ore filmarlo.. Potevo letteralmente prendere una decisione e farlo. Non dovevo chiedere a nessuno. Per me era folle. Non lo avevo mai fatto prima, avevo sempre dovuto parlarne con altre persone.
Con i Linkin Park, se dovevamo decidere per una canzone o un concerto, ad ogni passaggio ero in contatto con gli altri cinque ragazzi, parlando dei pro e dei contro. Questo valeva per ogni singola decisione che dovevamo prendere. La gente che ha lavorato con noi prima aveva detto che era incredibile quanto fossimo andati lontani avendo sei CEO (amministratori delegati). Nessun business può avere sei leader ed è difficile per una band essere democratica.”
In Post Trumatic Mike vuole essere ascoltato. “Sapevo che la prima parte del mio disco era difficile da affrontare e, andando avanti, non volevo ascoltare un album pieno solo di roba deprimente. Quindi quando mi sentivo meglio, nei giorni in cui mi sentivo particolarmente bene, mi assicuravo di scrivere una canzone quel giorno. Ecco che avrete canzoni come Lift Off e Can’t Hear You Now.
Sono passato attraverso cose inimmaginabili per me, e sono ancora qui. Sono ancora qui e sono ancora capace di godermi la vita. Sono ancora in grado di fare arte che amo e di fare cose che amo fare. Le cose non sono come una volta, ma possono ancora essere belle. C’è una strada vasta ed inesplorata davanti a me” ammette Shinoda prima di promettere: “e ho intenzione di esplorarne ogni centimetro”.
Fonte: UPSET Magazine
Traduzione: Silvia di Leonardo