Linkin Park – Hybrid Theory

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cover

È qui che cominciò tutto nel 2000; con questo soldato con ali da libellula su sfondo grigio. A molti potranno tornare in mente vecchi ricordi al pensiero di questo album, dal primo anno del nuovo millennio sono successe tante cose ad ognuno di noi: esperienze, amori, delusioni, frustrazioni, gioie e quant’altro possa comporre la vita di una persona. Questo con sempre Hybrid Theory al proprio fianco, l’album senza ombra di dubbio più amato dei Linkin Park. Se tutti gli altri lavori, da Meteora fino a The Hunting Party, hanno, quale più quale meno, dei detrattori non si troverà da nessuna parte un fan dei sei californiani a cui non piace il loro disco d’esordio.

E questo a buon ragione. Il motivo non è solo che si tratta dell’album che ha fatto conoscere i Linkin Park alla vecchia guardia e a cui tutti gli appassionati aggiuntisi negli anni a venire guardano con riverenza come uno degli ultimissimi successi del fantomatico e ormai moribondo nu metal. Il motivo non è da ricercarsi nemmeno nel coinvolgente sound, incredibilmente maturo per una band di ventenni; un sound che rende così unica l’atmosfera di un album come Hybrid Theory in cui la complessità compositiva non è certo di livello elevatissimo. Ciò che rende memorabile l’esordio dei nostri è l’intensissima e travolgente carica emotiva di cui è intriso il disco. Emozioni e rabbie adolescienziali, ma non per questo delle banalità. Dal primo all’ultimo, i 38 minuti che compongono Hybrid Theory compongono un affresco di emozioni condensate in musica con l’innegabile pregio di trascinare l’ascoltatore all’interno della propria intimità e in quella dei componenti della band.

Dal punto di vista prettamente musicale, sono chiare le ispirazioni derivate dal post-grunge dei primi Stone Temple Pilots, dall’alternative dei Deftones e dai ritmi elettronici dei Depeche Mode, mentre il rap di Mike Shinoda mostra punti in comune con i Run DMC. Il tutto ovviamente infarcito da influenze dei gruppi nu metal dell’epoca d’oro: P.O.D., Korn, Rage Against The Machine, Limp Bizkit, eccetera. Semplici power chord, canzoni tutto sommato brevi e semplici, ampio utilizzo di componenti elettronici (merito del DJ Joe Hahn) e fusione e alternanza fra elementi rap e altri più prettamente alternative metal; tutto questo con l’aggiunta di una cosa: l’emozionalità di cui sopra. Una sottile e dolce velatura pop che conferisce al soldato della copertina le sue ali e rende Hybrid Theory qualcosa in più di una semplice continuazione del lavoro fatto dai gruppi su citati. Qualcosa in grado di essere ricordato ancora oggi e non essere finito nell’infinito dimenticatoio del mainstream. Qualcosa in grado di sfornare undici potenziali singoli su dodici canzoni presenti nel plotto.

Partendo da Papercut si viene subito proiettati nell’universo di questo disco. Il rap di Shinoda si scatena come una mitraglietta mentre il cantato di Chester Bennington duetta con le strofe hip hop creando un climax emotivo che si scatena a metà canzone dove i due cantanti si affiancano in una conclusione da pelle d’oca e brividi. One Step Closer d’altro canto è un brano più aggressivo che si basa su un riff di chitarra semplice ma efficace che accompagna una prova maiuscola di Bennington che sublima nell’arcinoto urlo “Shut Up!”. Ma alla fin dei conti, si tratta del brano forse più debole dell’album, memorabile solo per l’urlo di cui sopra e per poco altro. D’altro canto si può, a ragione, affermare che molti album possono solo sognarsi un anello debole come questo, perchè si tratta comunque di una canzone che cattura ed è efficacissima. La successiva With You con la sua dolce malinconia e il suo ritornello potente continua senza battere ciglio il discorso intavolato dalle prime due canzoni. Dopo un inizio così travolgente i Linkin Park si permettono di dilagare con Points Of Authority, un brano quasi claustrofobico in cui fa capolino un martellante rap a metà canzone. La tristezza e l’angoscia invece sono assoluto protagoniste in Crawling dove Bennington si cimenta in una delle sue performance vocali migliori in assoluto. Oppressa, angosciante e deprimente, la canzone trascina attraverso tre minuti di atmosfere gelide e oscure. Sulla stessa lunghezza d’onda è Runaway con la batteria di Rob Bourdon in grande spolvero a sottolineare il susseguirsi di strofa e ritornello che non lascia vie di scampo.

Con By Myself si raggiunge il picco malinconico di Hybrid Theory. Tanti elementi atmosferici rendono questa canzone un piccolo gioiello dove più strati sonori si sovrappongono dando vita all’atmosfera lugubre di questa canzone con un ritornello in cui ci si meraviglia che le corde vocali di Bennington non si siano spezzate durante le registrazioni. Segue la canzone più famosa dei Linkin Park, la canzone che li ha consegnati dritti dritti tra le braccia delle top ten delle classifiche e nei cuori dei loro fan: In The End. La triste melodia di pianoforte e la ancora una volta superlativa prova di Bennington sono le protagoniste indiscusse della canzone in buona compagnia del rap di Shinoda e dei beat di Joe Hahn. Come al solito sono le emozioni che le canzoni riescono a scaturire a renderle così degne di nota. Continuando sulla stessa strada dell’emotività, ma con un accento più marcato sulla componente aggressiva, troviamo A Place For My Head con il solito duetto fra cantato melodico e rap che culmina in un finale di pura rabbia e adrenalina per poi passare senza soluzione di continuità a Forgotten, canzone che riprende a grandi linee tutti gli elementi di Hybrid Theory divenendone la sintesi. Intermezzo è la strumentale Cure For The Itch in cui Mr. Hahn dà prova delle sue doti di ingegnere del suono creando un pezzo quasi ambient di sicura presa. Si conclude con Pushing Me Away dove le emozioni raggiungono il loro zenit. L’ennesima superlativa prova vocale e la soffice malinconia dell’arpeggio di chitarra chiudono degnamente l’album con una canzone emotiva e fortemente introversa.

Hybrid Theory è un disco d’esordio come se ne trovano pochi che mostra una maturità stilistica non indifferente data la giovane età dei membri del gruppo all’epoca. All’inizio della loro carriera i Linkin Park batterono subito un colpo e posero le basi per essere una delle rock band più acclamate e discusse del nuovo millennio con tante persone da ambo le parti, detrattori e fan. Di certo rimane il fatto che i sei californiani all’inizio della loro carriera sono riusciti subito a sfornare un album che ha reclamato l’attenzione dell’intera industria musicale.