Ogni band che si rispetti ha cominciato con un EP e i Linkin Park non sono certo da meno. Prima di Hybrid Theory, prima del contratto con la Warner, prima del successo planetario, prima dei milioni di dischi venduti i sei californiani, all’epoca ancora conosciuti con lo stesso nome che avrebbe poi preso il loro album d’esordio, composero questo EP.
Correva l’anno 1999. Il secondo millennio stava volgendo al suo termine e lo stesso stava facendo quella corrente musicale denominata nu metal che tanto spopolava durante la seconda metà degli anni novanta. L’epoca di rap misto a metal, di crossover fra beat e power chord da lì a poco non sarebbe stato altro che uno sbiadito ricordo nella collezione di CD di un vecchio fan dei Korn e dei Limp Bizkit. Fan di questa corrente erano anche i ragazzi del college che sarebbero poi diventati famosi con il nome Linkin Park e la loro ispirazione all’ambiente crossover è più che evidente nel loro primo EP.
Partendo da Carousel, in mezzo ai suoi vocalizzi arabeggianti e la sua melodia minimale, ci mostra quanto i canoni del nu metal vengano rispettati: i power chord semplici ed efficaci di chitarra e basso fanno da struttura portante per le strofe rap e i ritornelli dal cantato aggressivo innestate nella più classica forma canzone. Semplice, diretta ed emozionale. Sono questi i tre aggettivi da affibbiare a Carousel e si addicono perfettamente a tutto l’EP. Passando per l’intermezzo Technique, che ricorda vagamente il downbeat dei Thievery Corporation, in cui Joe Hahn mette per la prima volta in mostra le sue qualità da disk jockey, giungiamo a Step Up. Il rap di Shinoda, pesante e intenso, è l’assoluto protagonista del brano in quanto inframezzato da un ritornello e da un bridge in tutta sincerità un tantino fuori luogo e quasi urticanti. Ma si tratta di una caduta di stile perdonabile per essere il primo lavoro di un gruppo di poco più che ventenni che comunque mostra una maturità notevole nelle sue composizioni.
And One è un brano dallo spiccato gusto Deftonesiano. Una canzone ansiosa e angosciante in cui il duetto fra i due cantanti si mostra in tutta la sua efficacia e gli scratch provocano brividi gelidi lungo la schiena dell’ascoltatore. È invece la voce distorta al computer ad introdurre High Voltage e di nuovo il rap a proseguirla fra arpeggi di chitarra e un lugubre accompagnamento di basso. Notevoli i i vocalizzi di Bennington nella seconda metà della canzone che donano al brano un’atmosfera magica ed inspiegabilmente oscura ma dolce allo stesso momento. Il plotto si conclude con Part of Me, la canzone che senz’altro ricorda più da vicino i futuri due album dei Linkin Park grazie al suo ritornello emozionale che fa capolino su un tappeto di power chord, effetti sonori computeristici e al suo ambiente malinconico.
Hybrid Theory EP non contiene certo i picchi massimi mai raggiunti dai nostri, ma si tratta comunque di un lavoro di buon livello che ha aperto la strada per tutto quel che è stato dopo. Una piccola perla nata durante il canto del cigno del genere a cui appartiene.