Recensione di The Catalyst (Singolo)
Dopo lunghi, perenni, interminabili giorni di attesa, dopo essere stati sfiziati, viziati, invogliati da anticipazioni su youtube, dopo aver potuto sguinzagliare la nostra fervida immaginazione con il rilascio su internet degli stems del relativo contest, oggi possiamo finalmente dire di aver potuto ascoltare l’opera compiuta, completa di ogni particolare, di questo nuovo singolo dei Linkin Park.
Ci sono diverse ragioni per le quali l’hype sviluppatosi in questi giorni attorno a questa release, era giunto ai massimi storici, perfino per una band come questa che può vantare da sempre un costantemente crescente pozzetto di seguaci. La più importante fra queste, è sicuramente l’importanza di questo momento per la band, che arriva da un periodo intenso di attività in studio, anche esterna al gruppo stesso, basti pensare al fortunato progetto parallelo di Chester Bennington.
I Linkin Park arrivano qui, nella calda estate del 2010, col proposito di chiudere il cerchio inziato e lasciato aperto con Minutes To Midnight: lo stadio iniziale, la prima missione, il primo tuffo alla cieca verso questa che si può definire una nuova avventura. Spogliati completamente delle loro vecchie, e per moltissimi amate, vesti, i nostri di oggi sono una band che appare rivoluzionata nei ruoli interni dei suoi membri, specialmente per quanto riguarda il comparto vocale. Anni luce di distanza sono i tempi in cui si poteva distinguere con certezza la funzione di Chester e Mike nelle canzoni: oggi non è più così, uno è comprimario dell’altro nello stesso ruolo, ed un anticipazione di questo si è già avuta con l’album precedente. Si aspettano quindi conferme nell’imminente uscita del prossimo “A Thousand Suns”, conferme che comunque sono già alla luce del sole ascoltando questo nuovo singolo.
Come immaginabile, è sempre difficile affrontare il problema di discutere di un brano estratto da un album senza aver esaminato il progetto nel suo insieme, ma da questo ascolto si possono ricavare alcuni interessanti indizi, utili alla ricerca di una previsione corretta di quello che potrà essere nella sostanza questo tanto atteso nuovo disco.
Venendo al singolo, del quale non ho pronunciato il titolo ma penso che oramai lo sappiate tutti è “The Catalyst”, si può subito affermare di come esso si distingua, in maniera davvero radicale, da ogni altro singolo di lancio fino ad ora rilasciato dal gruppo.
Il brano trasuda di epicità del momento, specialmente all’inizio, dove a seguire l’intro di pad dal refrain quasi gotico, le drum machine si levano dalla polvere, Joe Hahn si risveglia finalmente dal coma regalandoci un intermezzo di scratch che perfettamente si inserisce nel contesto, e a seguirlo ci pensa Phoenix Farrell, altro membro che da lungo tempo pareva un disoccupato neanche cassa-integrato, che qui invece interviene magistralmente con un giro di basso che contribuisce a riempire il muro sonoro progressivo che lentamente viene a delinearsi nei primi minuti.
Entrano in scena i cori di Chester e Mike, quanto mai, nel vero senso della parola, lanciati assieme verso uno scopo comune, e sorprendendo allo stesso modo per il forte coinvolgimento che riescono a suscitare nelle strofe ripetute, che narrano di un’apocalisse inevitabile, uno scenario di devastazione in cui il genere umano con le spalle al muro impreca, chiede aiuto a Dio stesso, e menzionando dei “peccati” da lui commessi (the sins of our hands, the sins of our tongues, the sins of our fathers, the sins of our young) cerca forse un modo per redimersi anche se è troppo tardi. La tempesta infuria, le chitarre in background urlano facendosi spazio fra i beat e le strofe ridondanti che inziano ad assomigliare quasi a canti di preghiera. Il tiro del pezzo aumenta sempre di più, tracciando perfettamente i lineamenti agonizzanti di questo panorama di distruzione.
Elementi tutti decisamente poco radio-friendly, in cui sono l’oscurità, il buio, l’oniricità dell’incubo a farla da padrone. Ecco però che sul culmine, in gergo calcistico “in zona Cesarini”, la tempesta cessa d’un tratto, le nubi iniziano a diradarsi nel finale del pezzo. E’ come la fine di un temporale estivo: la pioggia diminuisce d’intensità, le nubi schiariscono, si disperdono e un raggio solare illumina la superficie ancora bagnata, lasciando però intatti i segni del fenomeno. Il risveglio dall’incubo, in cui è ora il solo Bennington l’artefice di questo sipario dal sapore epicamente hollywoodiano.
Se il buongiorno si vede dal mattino…
Voto
Sarebbe un otto pieno, ma senza album a fare da corredo, il voto, a differenza del commento, non è molto sensato.