Mike è stato intervistato da Kerrang! e ha parlato di diversi argomenti, includendo dichiarazioni sulla musica su cui sta lavorando e, ovviamente, anche su Chester. Potete leggere qui la traduzione dell’articolo:
Mike Shinoda si rivolge da tempo alla musica e alla pittura per aiutarlo a processare le proprie emozioni. Nella nostra esclusiva intervista, il frontman dei Linkin Park ci ha invitati nel suo studio per condividere i suoi lavori, mentre si aprirà al pubblico per la prima volta riguardo a Chester, il dolore, nuova musica, ed il futuro. Erano passate poche settimane dal tragico evento del 20 Luglio 2017, e Mike Shinoda si ritrovava seduto nel proprio studio, a casa sua a Beverly Hills, California. C’erano alcuni giorni in cui Mike non voleva proprio lasciare casa, altri in cui non voleva vedere nessuno. Alcuni di questi giorni li passava semplicemente standosene coricato a letto. Ma questo particolare giorno era diverso, e nel buio del suo studio, Mike stava iniziando a “riflettere sul viaggio che noi sei abbiamo fatto insieme”.
Erano circa le 9 del mattino, Mike non aveva ancora acceso le luci. Si sedette né al buio, con i raggi del sole che iniziavano ad insinuarsi dalle finestre, né alla luce. Mike Shinoda, dice lui stesso, fin da quando può ricordare, ha sempre fatto arte quando ha avuto bisogno di processare i propri pensieri, le sue emozioni, i suoi problemi, i suoi sentimenti. “Probabilmente me n’ero già reso conto da un paio di giorni, che se non avessi iniziato a fare qualcosa presto, l’ansia sarebbe diventata sempre più grande”, spiega. “Così ho dovuto abbattere quella prima barriera”.
Oggi, Mike Shinoda ha appena finito di accompagnare i propri figli a scuola. Si siede per parlare per la prima volta con Kerrang! – con tutti – per quanto riguarda la musica che ha iniziato a creare in studio quel giorno, per quanto riguarda i pensieri e le sensazioni che iniziavano a tuffarsi dalla propria mente verso le canzoni. Le tre profondamente personali, a tratti strazianti, tracce che compongono la sorpresa di Gennaio, il Post Traumatic EP, hanno messo a nudo il dolore e la sofferenza che Mike stava sopportando in seguito alla perdita dell’amico e compagno di band Chester Bennington la scorsa estate.
“La morte di Chester ha ha influenzato tutto, alcune volte in modi molto evidenti, e altre volte in maniera molto più… sottile”. Mike inizia con un profondo sospiro. “Sento che il dolore sia come una montagna russa, no? Non viaggia in linea retta. In realtà ero solito credere che gli stadi del lutto [negazione, rabbia, negoziazione, depressione e rassegnazione, cnosciuto come il modello Kubler-Ross] di cui le persone parlano fossero in ordine. E la verità è che non lo sono. Per niente. Decadono, scorrono e accadono soltanto in ordine casuale. Alcuni giorni avrai una sola emozione che viene processata durante tutto il giorno. Altri giorni starai cambiando completamente emozione da un minuto all’altro, dal sentirti depresso al sentirti ansioso, dal sentirti felice al sentirti arrabbiato. Sei lungo tutto il tragitto allo stesso momento. Inizi sempre da un posto buio, ma non è mai una linea retta da lì in poi. E queste canzoni sono la stessa cosa. “Io credo seriamente nel potere catartico del creare cose”, spiega Mike. “Quando ho avuto i miei momenti peggiori, dipingere e comporre musica mi hanno aiutato ad andare avanti. A volte immergendomi nella sofferenza e scrivere quel che mi passa in mente, altre volte usando l’arte come via di fuga. Ma in ogni caso, mi aiuta ad andare avanti.”
In una libreria della camera dei bambini di Mike è poggiato un libro, con la sua copertina frontale adornata da un panda chiamato Stillwater che tiene un ombrello. Zen Shorts è una lettura di non più di 40 pagine, con ognuna riportante un rifacimento di classiche fiabe sull’educazione, sulla filosofia o sulla morale. Ce n’è una in particolare che è rimasta nella testa di Mike. In questa fiaba, un contadino è afflitto da una serie di eventi negativi, dopo i quali ogni volta i vicini sono rapidi ad offrire le proprie condoglianze. “Che disgrazia!” dicono al contadino. “Può darsi.”, rispondeva lui ogni volta. “Il figlio del contadino cade e si rompe una gamba”, spiega Mike. “E il suo vicino dice ‘Che terribile disgrazia!’, al quale il contadino risponde ancora una volta “Può darsi”. Il giorno dopo, l’esercito arriva per prelevare giovani uomini da portare in guerra per essere uccisi, ed il vicino dice al contadino ‘Che fortuna che si fosse rotto la gamba!’, ed il contadino rispose di nuovo ‘Può darsi’. L‘idea che a volte possiamo guardare l’altro lato della medaglia quando accade qualcosa di terribile esiste, ed io…” inizia a dire Mike, ma poi la sua voce svanisce. Sta raccontando questo pensiero come un significato esplicativo dell’ultima traccia del suo Post Traumatic EP, Watching as I Fall. Dissezionata in isolamento, dipinge un’ancor più personale visione del lutto di Mike per la perdita dell’amico, e si batte per capire e processare le emozioni che si affrontano quando qualcuno vicino a te muore. “Scarica a mano libera”, così etichetta alcune parti del testo della canzone, “Ma c’è anche una sottile forma di ottimismo e speranza lì dentro.”
Tale giustapposizione, la luce, l’oscurità e le varie sfumature di grigio in mezzo avvolgono le tre canzoni dell’EP. Mike fa notare infatti come le proprie creazioni non siano poi così lontane dalle canzoni che ha scrito nelle due decadi precedenti con i Linkin Park. “Solo io in una stanza, ad iniziare con un paio di parole, una chitarra, un piano”, dice, prima di ridere “anche se non con me seduto a luci spente”. Nonostante ciò, come ci spiega, c’era qualcosa di molto “diverso” nel posto da cui le tre canzoni dell’EP sono venute fuori.
“Una settimana dopo la morte di Chester, l’idea dello studio mi faceva paura” ammette Mike. “E non era soltanto l’idea di provare a comporre una canzone ed essere sopraffatto da tutti quei ricordi. C’è un altro strato di paura per gli artisti in questa situazione che è ‘E se non riuscissi a fare nulla di buono senza quella persona?’. Quelle barriere iniziano ad accumularsi, che sia la paura o la depressione, o il caos del mondo esterno, crea un eco in una camera di ansia. Questo era uno dei punti per me, dovevo creare qualcosa, che fosse utilizzabile o non non m’importava. Stavo facendo canzoni brutte in stile grunge anni ’90, stavo facendo cattive canzoni rap… E poi ho fatto qualcosa di buono. Ho fatto tutte queste cose diverse senza alcuna intenzione iniziale di rilasciarle al pubblico, ma solo per immergermi in alcune delle idee che erano già nella mia testa”. Post Traumatic è il risultato di un vortice di emozioni e il processo non lineare del lutto. Si scambiano entrambi nei toni e nelle emozioni nel tempo che serve, come spiega Mike, per il suo umore del giorno da spostare; dalla depressione alla disperazione, dall’abbattimento alla rabbia. È un processo straniante, che continua giorno dopo giorno e si riflette nelle canzoni.
“I concetti delle canzoni e quello di cui parlano, rappresentano lo scorrere delle emozioni del giorno,” continua “alcune affondano le radici in qualcosa di specifico che stava accadendo in quel momento. Abbiamo fatto lo show in onore di Chester ad ottobre [lo show all’Hollywood Bowl organizzato in onore della vita di Chester e della sua musica a cui ha partecipato un’incredibile schiera di talenti tra cui Oliver Sykes, Jonathan Davis dei Korn, membri di Blink-182, Avenged Sevenfold, System of a Down ad altri] e mentre lavoravo a quell’esibizione e allo show stavo contemporaneamente lavorando alla canzone Over Again. Il primo verso l’ho scritto il giorno dello show dell’Hollywood Bowl Il secondo verso il giorno seguente. Per me personalmente, parte del processo ha riguardato, più che in passato, l’accertarmi che stavo catturando le parole che sentivo in ogni momento, ma anche che la performance e la registrazione si svolgessero mentre provavo quelle cose”.
Place to Start, invece, viene da un momento decisamente diverso. “La traccia in realtà è nata durante le sessioni di One More Light,” rivela Mike. “L’avevo portata come demo ma non l’ho mai sviluppata e finita. Ad un certo punto pensavo che sarebbe dovuta essere l’intro dell’album, a dire il vero. Quando l’ho riascoltata, ho pensato che l’idea di iniziare l’EP prima che Chester se ne andasse fosse bella. C’era qualcosa in ciò che sapeva di “vecchio”. Le parole sono tutte nuove.. o meglio, non dovrei dire tutte nuove, ma le ho riviste attraverso le lenti di dove mi trovavo in quel particolare momento. Volevo che le persone, in un certo senso, trovassero risposta alla domanda che tutti fanno: ‘Come stai?’
Oggi Mike sembra essere in pace col mondo. Ride spesso e di cuore durante la nostra chiacchierata di un’ora; parla intensamente e con emozione dell’amore che lui e la band provano per Chester, l’impatto che il loro amico ha avuto su di loro come persone e come musicisti, e l’orgoglio che prova per quello che sono riusciti ad ottenere insieme. Parla a lungo e appassionatamente dell’ampia Linkin Park Family (soprattutto più avanti).
Over Again, comunque, dimostra quanto sia fragile questa pace nel persistente spettro del lutto. Scritta mentre Mike e la band facevano le prove per lo show dell’Hollywood Bowl, il ciclo di quelli che un tempo erano bei ricordi e che ora assumono un nuovo e doloroso significato “è stato come una pugnalata”, in quanto Mike ha rivisitato o rielaborato canzone affinché si adattassero allo show e alla miriade di ospiti. “Semplicemente, non dici addio ad una persona una volta sola,” ragiona Mike. “Puoi farlo ancora e ancora e ancora. Perché per tutti noi, tutti quei ricordi collegati alla persona che abbiamo perso, riaffiorano ogni giorno.”
‘I get tackled by the grief at times I least expect’ canta Mike nel pezzo. A tal proposito ci racconta un fatto accaduto di recente.
“Ero fuori a pranzo con Brad e non stavamo parlando di niente di tutto ciò”, ricorda. “Il manager del ristorante viene, dice di essere un nostro grande fan e ci offre uno stuzzichino, è stato molto gentile. Quando se ne andò, più che sentirmi alla grande mi sentivo uno schifo. Non so se perché tutte quelle cose che stava dicendo non sarebbero mai più accadute per lui come anche per me, ma è venuto fuori dal nulla. Per fortuna ero con Brad che ha capito perfettamente. Non penso lo abbia colpito nel modo in cui ha colpito me.”
“È così che funziona il lutto,” sospira. “Non puoi prevedere quando qualcosa ti darà fastidio. Magari stai passando una bella giornata; ti svegli, sei di buon umore e l’intera giornata va alla grande. Poi all’improvviso qualcuno fa un commento che manda tutto all’aria.”
Questa non è, ovviamente, la prima volta che Mike Shinoda intraprende un percorso da solo. Fa riferimento al suo lavoro sotto il nome di Fort Minor, all’inizio del 2005, come l’esempio più ovvio del perché affrontare la nuova musica come artista solista non gli ha causato grandi difficoltà. In realtà, però, ha iniziato ad esplorare la musica individualmente da quando, a sei anni, ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte. Fort Minor ha dato a Mike uno sbocco nell’hip-hop, che è stata la sua ossessione crescendo; una rete in cui tutte le canzoni che aveva scritto ma che non rientravano nella sfera Linkin Park sono cadute, salvandosi dal secchio della spazzatura dello studio. Il motivo per cui Post Traumatic è un progetto che Mike ha voluto intraprendere da solo, comunque, è decisamente più intimo.
“Il lutto è una cosa incredibilmente personale e penso che ognuno segue il proprio percorso, ha un proprio ritmo e cose che gli servono”, ammette. Mike fa riferimento al nuovo progetto del bassista dei Linkin Park, Dave Farrell, che ha lanciato un nuovo podcast, Member Guest, che riunisce i suoi amici in musica e golf per chiacchierare davanti ad una birra, come a qualcosa che sta “funzionando alla grande” per uno dei suoi compagni. “Per quanto mi riguarda, comunque, quel che mi riesce più naturale è fare musica ed esibirmi, che è il mio sfogo da quando ero un bambino,” aggiunge. “Indipendentemente dal risultato e dal fatto che qualcuno senta o meno quello che faccio, è sempre lì che torno.”
Ed ancora, è chiaro che Mike non si sia sentito solo in questo processo. Lo show in memoria di Chester Bennington gli ha dato l’oppurtunità di riconnettersi con il pubblico.I social media gli hanno permesso di sentire ed apprezzare l’ondata di compassione e ed empatia a lui diretta dopo la dipartita di Chester. Ciò che Mike ha trovato, era una community ed una famiglia che Mike sapeva essere forte, ma che non avrebbe mai immaginato potesse raggiungere quei livelli. La sua gratitudine verso questa connessione con lui da parte dei fan, connessione “che va molto oltre la musica”, è evidente. “Sono stato lontano dai social media per un po’, ma quando ci sono ritornato, leggevo semplicemente, senza dare un mio contributo. Ho visto molte persone esprimere le stesse cose che sentivo, che i nostri amici sentivano, che il nostro team sentiva. Sentivamo tutti le stesse cose, e ho realizzato che la musica era un’oppurtunità per connettersi con queste persone. Mi sono reso conto che c’erano migliaia di persone che stavano affrontando i loro problemi – depressione, battaglie relative alla loro salute mentale; era tutte addolorate per Chester, la sua famiglia e noi. Alcune stavano lottando contro la natura epidemica del vedere qualcuno perdere la battaglia contro i pensieri suicidi. Mi sono sentito di andare là fuori e dimostrare loro che sono ancora qui, e che questo sarebbe stato, in un certo senso, catartico e di aiuto, per me e per loro. Quei momenti in cui non volevo lasciare la mia casa, in cui preferivo rimanere seduto al buio nel mio studio, guardavo il telefono,e sapevo che c’erano altre persone là fuori con cui ero connesso. Non posso dire di essermi sentito responsabile per loro (e di averli aiutati), o viceversa, che loro siano stati responsabili per me, ma so che entrambi eravamo nella stessa situazione ed eravamo parte della stessa community. E tutto questo … “, Mike si ferma, ” E tutto questo mi ha influenzato e portato sul sentiero che mi ha condotto sino a dove sono adesso.”
Dove porta questo sentiero, Mike non si spinge a dirlo. Seguirà nuova musica – “Ho scritto delle canzoni riguardo a quello che è successo, a ciò che c’è stato nella mia mente, e sai, non è buio pesto. Alcune di esse sono più dark, altre meno. Sto cercando di finire queste canzoni e la parte visuale/artistica che le accompagna” – e questa estate Mike sarà in Giappone ad agosto, per il Summer Sonic festival. Ci saranno altri show, rivela Mike con eccitazione, molti dei quali risultato della campagna organizzata tramite il sito WeDemand.com, che ha visto migliaia di fan promettere il loro supporto a show in ogni parte del globo. “È qualcosa che non vedo l’ora di fare “, risponde Mike quando gli viene chiesto se è intimorito dal fatto di portare sul palco aspetti personali della sua vita. “Voglio andare di fronte a tutte quelle persone e dire: “Hey, suonerò nuove canzoni, magari qualcosa dei Fort Minor; non so quanto le canzoni dei Linkin Park, ammesso ce ne sia qualcuna che possa funzionare in questo caso.’ Sarà tutto naturale, e sarà bellissimo vedere i fan di persona. Sono stati incredibili. Mi hanno davvero aiutato a tenere assieme i pezzi in alcuni giorni, e non potrei essere più grato. Molto del loro supporto è stato toccante, come se dicessero, ‘Hey, siamo qui per te e ti vogliamo bene’, ma è stato un supporto anche pratico, con la campagna di WeDemand. Non potrei essere più grato.”
Al di là di questi impegni, Mike è entusiasta nel dire che il suo percorso rimane aperto, e continua a portarlo lungo un viaggio che si svolge in modo naturale. Non saranno presi in considerazione piani che non si adattano al momento presente, non saranno fatte promesse a lungo termine, perché c’è ancora molto da fare in questo momento. “Amici che sono passati attraverso situazioni traumatiche mi hanno detto che, in questi casi, la regola numero uno e quella di non prendere grandi decisioni”, ammette Mike. Lasciare aperte varie opzioni e cercare di trovare una sorta di stabilità emotiva, è qualcosa di necessario. Hai bisogno di questa stabilità, prima di prendere grandi decisioni. Non penso di essere ancora fuori da questa fase, ma non penso nemmeno di esserci ancora dentro. Sono in qualche punto nel mezzo. E questo vale anche per la band. Ci vediamo regolarmente, stiamo insieme, parliamo; ricevo un messaggio da qualcuno ogni giorno o due. Tuttavia penso che le tempistiche di ciascuno nell’affrontare ciò che è successo, ed il percorso di ognuno, siano strettamente personali, ed abbiamo un gruppo di ragazzi dolci, intelligenti e motivati, che sono unici e differenti l’uno dall’altro. Vedremo quando tutto sarà in sintonia. Dire altro sarebbe fuorviante. Quello che so adesso, è che sono pronto a dedicarmi a questa musica e ad alcuni show, e al di là di questo, sono aperto a tutti i tipi di idea”.
Traduzione a cura di: Giovanni Barba, Selene Rossi e Monica Rossi