Mike: “sto meglio e spero di aiutare i fan”

Mike

In una lunga intervista per Rolling Stone, Mike parla di Post Traumatic, della sua arte, di Chester e del concerto all’Hollywood Bowl, del suo stato d’animo e di cosa l’ha aiutato ad affrontare il dolore. L’abbiamo tradotta integralmente.

Con la pubblicazione di Post Traumatic, il suo album da solista profondamente personale, il rapper e produttore discute di come fare musica l’abbia aiutato ad affrontare il lutto.

Ultimamente, Mike Shinoda dipinge in modo diverso. Nei mesi successivi alla morte del cantante Chester Bennington, che nei Linkin Park lo completava, il rapper, produttore e visual artist si è ritrovato ad approcciarsi in maniera diversa a tutti i suoi passatempi creativi, il che risulta evidente soprattutto quando mette il pennello sulla tela. Uno dei suoi dipinti più recenti raffigura quella che sembrerebbe essere una vasta gamma di facce robotiche e scheletri, che si confondono su uno sfondo di quadrati di mare/schiuma/verde. “Quello che ho fatto da allora è meno figurativo ed un po’ più astratto”, dice. “Quando tutti sanno che stai attraversando un periodo difficile, se disegni un pupazzetto, lo analizzeranno troppo”.

È una calda mattina di maggio e Shinoda sembra tranquillo mentre si mette a suo agio sul divanetto di un ristorante mezzo vuoto di SoHo, maglietta bianca e cappellino da baseball nero. Nonostante ci sia un bel piatto di pasticcini di fronte a lui, preferisce sorseggiare un caffè. Quando parla, ti guarda negli occhi ed accenna un sorriso, anche quando l’argomento della conversazione non lo mette a suo agio, e si guarda attorno nella stanza come a voler trovare le parole giuste. Principalmente, comunque, sembra piccolo, come se la stanza, grande e luminosa, potesse mangiarlo. Ma non è per forza così che vuole lo vediate.

“Una delle cose più difficili che ho dovuto affrontare durante quest’anno, è che ogni cosa che faccio viene interpretata nell’ottica dell’anno”, dice.

Nonostante si senta più a suo agio a nascondere i suoi sentimenti nell’arte visiva, in Post Traumatic, il suo primo album da solista, Shinoda affronta tutto ciò che ha attraversato negli ultimi 10 mesi fin nei dettagli più crudi. È l’album per la cui realizzazione ha impiegato il minor tempo e la musica sembra proprio dei Linkin Park. Parte di essa, infatti, l’aveva scritta in precedenza, avendo in mente One More Light, l’album della band uscito nel 2017, ma i testi senza filtri e quasi freestyle la fanno sembrare qualcosa di completamente nuovo. Mentre i Linkin Park cantavano il dolore esistenziale (e autobiografico), la maggior parte delle canzoni di Post Traumatic sembrano annotazioni di un diario.

Ha disposto la maggior parte delle tracce nell’ordine in cui le ha scritte, iniziando da Place To Start, che termina con alcuni messaggi di condoglianze che ha ricevuto, e va avanti descrivendo lo show che la band ha tenuto in onore di Bennington (Over Again), la sua lotta interiore con il dolore (Hold It Together) e la sua ansia nell’affrontarlo (World’s On Fire), prima di terminare con una nota di speranza (Can’t Hear You Now). Nelle sue canzoni, al contrario di quanto accade per i sui dipinti, a volte c’è qualche particolare scomodo: Hold It Togheter racconta di come abbia partecipato alla festa di compleanno di un bambino di sei anni per poi sentirsi menzionare la morte di Bennington da qualcuno, il che ha spinto Shinoda a fare una battuta dark e imbarazzante (“Non dovevo venire” canta, “sarebbe strano tornare a casa e mi sento in difficoltà”). Ma Shinoda dice che non voleva censurarsi.

“Non penso di essermi tenuto nulla” dice, il suo viso contratto in una smorfia. “Le uniche canzoni che ho fatto e non ho voluto includere nell’album sono quelle che secondo me stavano dicendo cose già dette o quelle che non mi piacevano troppo”.

Nonostante Post Traumatic non parli esclusivamente di Bennington (e Shinoda si irrita al pensiero che venga visto come un album tributo), gran parte di esso racconta le sue difficoltà nel capire se stesso senza avere Bennington nella sua vita. In Place To Start, un pezzo onirico, quasi un flusso di coscienza scritto poco dopo la morte del compagno, canta “Era forse qualcun altro a definirmi? Posso lasciarmi il passato alle spalle?”

“Credo che quei pensieri siano piuttosto normali”, dice. “Mentre scrivevo alcune di quelle cose pensavo ‘Dovrei dirlo? Non è strano?’ ma penso che siano vere per chiunque in questa situazione. Quando ti trovi in una situazione difficile, a volte ti domandi cose che non c’è bisogno di domandarsi. Io l’ho fatto. E ad un certo punto avevo paura anche solo di scrivere una canzone o registrare qualcosa, che è normale”.

Mike PT

È una sensazione che Chino Moreno, amico di Shinoda e frontman dei Deftones, capisce. Nel 2008 Chi Cheng, il bassista della sua band, è rimasto coinvolto in un incidente stradale ed è entrato in coma; è morto cinque anni dopo. Inizialmente Moreno ha aspettato un po’ prima di mettersi in contatto con Shinoda a proposito di Bennington, ma alla fine gli ha scritto una email. Sono andati in studio per registrare la traccia di Post Traumatic Lift-Off ed è in quell’occasione che hanno parlato di questo genere di sentimenti. “Abbiamo parlato principalmente del momento in cui torni di nuovo ad essere creativo e ti senti a posto nel farlo”, dice Moreno. “In veste di ascoltatore della musica che ha rilasciato fino ad ora, lo capisco che si stava ponendo quella domanda”.

Shinoda ha visto Bennington per l’ultima volta qualche giorno prima della morte del cantante. “Voleva che incontrassi questo ragazzo, Watsky” dice, facendo riferimento ad un rapper e poeta che Bennington sosteneva. “Amava Watsky e me ne aveva parlato talmente tante volte che ho pensato ‘okay, incontriamolo’. Siamo andati nello studio dove avevamo lavorato ed è passato Watsky a salutarci, abbiamo conosciuto lui ed un suo amico. Poi sono andati via e Chester ed io abbiamo passato qualche ora lì, scarabocchiando della musica. Stavamo praticamente giocando con della musica mediocre e parlando degli imminenti show che avremmo fatto con i Blink-182. Niente di straordinario, davvero”.

Qualche giorno dopo, Bennington è stato trovato senza vita nella sua casa alle porte di Los Angeles, per un apparente suicidio. I suoi amici hanno detto a Rolling Stone che il cantante stava avendo problemi a rimanere sobrio e, in un’intervista fatta quello stesso anno, Bennington ha parlato di una battaglia contro la depressione, quando gli fu chiesto della canzone dei Linkin Park “Heavy”. Un referto autoptico ha mostrato che ci fosse dell’alcol nel suo sangue quando è morto. “Non sappiamo quanto avesse bevuto, ma non ci vuole molto quando sei un alcolista a quei livelli, un tossicodipendente e stai lottando tanto quanto lui mi ha descritto”, Ryan Shuck, suo amico e compagno nel side project Dead by Sunrise, ha detto a Rolling Stone. “Non ci vuole molto a perdere la testa per un istante”.

Shinoda ricorda Bennington come una persona dalla personalità grande e a volte imprevedibile. “Era davvero chiassoso e non solo per la voce, aveva una personalità chiassosa”, dice. “Scherzavamo sul fatto che sarebbe potuto andare ovunque e fare amicizia con tutti.  Era davvero divertente e amorevole, ma era anche complicato”.

“Poteva essere davvero caldo o freddo nei confronti delle cose”, continua. “Scherzavo sempre con lui perché non gli piaceva mai nessun film. Se aveva visto un film che io non avevo visto, gli chiedevo com’era e poteva essere o un 11 su 10 o un ‘non posso credere che qualcuno abbia fatto quel film. Chi cazzo ha deciso di investire soldi su uno schifo del genere? Vorrei poter riavere indietro i miei soldi.’ Era fatto così”.

Mike e Chester

Bennington era un uomo dedito alla sua famiglia, che cucinava la cena del Ringraziamento per dozzine di persone e riusciva ad essere imprevedibilmente aperto con degli sconosciuti. “Era quasi casuale”, dice Shinoda. “Con alcune persone rimaneva superficiale, ad altre raccontava cose assurde. Per esempio, se sull’aereo era seduto accanto a qualcuno, potevi sentire che gli raccontava cose che non dovresti raccontare ad una persona su un aereo. Era quel tipo di persona. Aveva questi momenti di apertura e schiettezza quasi infantile”.

Dopo la morte di Bennington, i Linkin Park hanno condiviso sul loro sito una lettera aperta al cantante. Una frase risuona dopo tutti questi mesi: ”Stiamo cercando di tenere a mente che i demoni che ti hanno portato via da noi hanno sempre fatto parte del patto. Dopotutto, è proprio il mondo in cui cantavi di quei demoni che ha fatto innamorare tutti di te”.

Quando gli viene chiesto di questa frase, Shinoda prende una lunga pausa e cerca le parole giuste attorno alla stanza. “Beh, penso che il senso di quella frase è che lo conoscevamo”, dice. “Voglio dire, sapevamo con cosa avevamo a che fare. Lui sapeva con cosa aveva a che fare. Tutto qui. È questo il significato. Era permanente… come per chiunque abbia a che fare con quel genere di cose, è permanente”.

Dalla morte del cantante, Shinoda ha imparato che l’elaborazione del lutto è irrazionale. Circa 50 anni fa, la psichiatra Elisabeth Kübler-Ross elencò quelle che descriveva come le cinque fasi sequenziali dell’elaborazione del lutto: negazione, rabbia, contrattazione, depressione ed accettazione. Secondo Shinoda, sbagliava su una cosa: le fasi non sono sequenziali.

“Ho sempre pensato che sarebbe successo in un certo ordine e che quindi avrei potuto analizzare il tutto”, dice. “Ma non capita in ordine. E se la tua famiglia o i tuoi amici provano le stesse cose ma tutti sperimentano queste diverse emozioni in momenti casuali, allora nasce il caos. Perché una persona è infastidita, una è triste, una è arrabbiata, una sta bene. E si influenzano a vicenda. Questo è parte del motivo per cui ho voluto fare questa cosa per conto mio, per tirarmi un po’ fuori da quel caos e avere un po’ di controllo sulle mie intenzioni“.

Shinoda ha trovato ispirazione dalla lettura del libro Option B: affrontare le difficoltà, costruire la resilienza e ritrovare la gioia scritto da Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook, a seguito della morte del marito. “Ha guardato indietro al suo primo libro [Facciamoci avanti – Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire] e ha pensato ‘solo ora riesco a vedere che ci sono dei problemi perché prima non mi mettevo nei panni di chi è una madre single che non ha una scelta’”, dice. “E mi ci sono ritrovato. Mentre leggevo, pensavo ‘sì, questa non è la mossa che avrei scelto di fare per la mia carriera, ma allo stesso tempo, eccoci qua’. Ne trarrò il meglio.”.

Nonostante la band si sia riunita per il concerto di tre ore tenuto in onore di Bennington lo scorso ottobre, occasione per cui Shinoda ha debuttato una nuova canzone Looking For An Answer che non ha incluso in Post Traumatic perché avrebbe interferito con il flow dell’album, Shinoda si è distaccato dal gruppo per lavorare all’album. In esso, l’unico membro dei Linkin Park ad avere dei crediti è il chitarrista Brad Delson, che è coautore di Make It Up As I Go e Running From My Shadow. Shinoda, infatti, ha guardato fuori dalla cerchia dei suoi soliti collaboratori. In aggiunta a Moreno, K.Flay, autrice della hit Blood in the Cut, è presente in una traccia così come Machine Gun Kelly e Blackbear

“Penso di aver raggiunto, negli ultimi anni, un nuovo livello in qualità di compositore”, dice. “Non intendo nel senso ‘se vuoi che ti scriva una hit, ti scrivo una hit, bello’. Intendo dire che ho tanti modi diversi di approcciarmi ad una canzone. Nella maggior parte dei casi ho sempre scritto per conto mio e poi portato alla band. Era raro che mi sedessi con tutti i ragazzi per fare qualcosa. Non era così che le idee migliori venivano fuori. In piccola parte per The Hunting Party e in larga parte per One More Light, abbiamo avuto tante sessioni con altri compositori e ho imparato come scrivono altre persone. Penso di aver imparato così tanto che mentre facevo quest’album, tutte quelle cose le ho applicate.”

Le canzoni devono raccontare qualcosa”, continua. “Quando non stai affrontando nulla e la vita è noiosa, è più difficile tirare fuori canzoni interessanti. Quando succede qualcosa e di molto pesante, è quasi come se avessi un pozzo pieno di idee da cui puoi tirarne fuori in continuazione”.

Mike PT

Ha contattato K.Flay per finire una canzone a cui avevano lavorato durante le sessioni per One More Light ma che non era stata inclusa nell’album. La canzone, Make It Up As I Go, in origine era una ballata ma Shinoda ha modificato il tempo; il ritornello, cantato da K.Flay, è rimasto come era in origine: “Non so cosa sto inseguendo, non so chi io sia, quindi mi invento qualcosa strada facendo”.

“Stavamo parlando di come sia di conforto pensare che tutti sappiano quello che stanno facendo, ma stiamo tutti inventando la nostra vita attimo dopo attimo”, dice K.Flay. “C’è un luogo nella mia testa in cui vado di frequente e credo che fosse decisamente collegato con quello di Mike”.

Dice che la prima volta che si sono incontrati, Shinoda l’aveva colpita come caloroso e creativo, e che aveva la stessa energia quando si è rimessa in contatto con lui per Post Traumatic. “Non so se si possa definire un’urgenza, ma Mike era davvero motivato”, dice. “Ho avuto la sensazione che volesse fare qualcosa, e lo capisco. Penso che avendo di fronte ogni tipo di incertezza, può essere positivo e bello fare cose”.

Anche Moreno ha risposto al bisogno di creare di Shinoda. Si sono conosciuti per la prima volta nel 2001 circa, quando i Deftones hanno accompagnato in Linkin Park nel loro primo Tour Europeo; le due band sono così vicine che il chitarrista dei Deftones, Stephen Carpenter, è il padrino del figlio di Bennington, Draven. Shinoda aveva mandato a Moreno un paio di canzoni che erano più o meno complete e Moreno non riusciva a capire cosa avrebbe potuto aggiungerci. Quindi hanno deciso di vedersi e lavorare su una strumentale dal beat pesante che sarebbe poi diventata Lift Off, una traccia rap che parla del percorso dei musicisti verso il successo e che vede anche la partecipazione di Machine Gun Kelly.

“Mike è molto preoccupato che le persone possano pensare che sia egoista nel fare quel che sta facendo, ma chi se ne frega”, dice. “È una persona creativa. Non è in una posizione facile. Che le persone capiscano o meno, lui rimane comunque in una posizione non facile. Quando stavano lavorando a One More Light, un giorno sono andato in studio con lui e aveva qualcosa come 40 o 50 idee. Mi sono seduto lì e ne ho ascoltate alcune, lui è il tipo di persona che lavora sempre. Non voglio dire che gli altri ragazzi non siano coinvolti, ma lui è decisamente quello che è sempre lì. Quindi che qualcuno possa credere che non farà musica è assurdo”.

Quando Shinoda ripensa alla realizzazione dell’album, si meraviglia di come fosse emotivamente in posti diversi mentre scriveva Place to Start e mentre scriveva l’ultima canzone, Can’t Hear You Now. Post Traumatic è una testimonianza discontinua che copre circa nove mesi di tempo durante i quali Shinoda familiarizzava con quella che era diventata la sua nuova normalità. Alcuni dei testi sono estremamente autocoscienti al punto che Shinoda lamenta di non essere riuscito a trovare le parole giuste. Altri sono fortemente descrittivi della sua vita quotidiana, come la strofa della festa di compleanno in Hold It Together.

“Questa è una delle strofe che mi ha colpito sul momento”, dice. “Non credo di essere uno di quei cantautori che di solito colleziona le piccole cose mentre stanno accadendo e dice ‘Oh, ne uscirebbe una bella canzone’. Penso che, poiché ero così immerso nella scrittura del disco, è successo spesso. Alcuni di questi sono i momenti che preferisco dell’album”.

“In un certo senso, sentivo che si poteva, potenzialmente, porre fine al lavoro di una carriera, nel senso, ok, quello non puoi averlo più, questo capitolo è finito, e non c’è niente che puoi fare a riguardo”, continua. “Ed è una sensazione che fa paura. Ma a me ha davvero dato l’opportunità di iniziare un nuovo capitolo. Ho imparato a godermelo“.

Ad un certo punto ha realizzato che come per i suoi dipinti, anche la sua musica, indipendentemente da quel che avrebbe scritto, le persone l’avrebbero considerata legata a Bennington. Questa sensazione ha ispirato About You, una traccia il cui ritornello recita “Anche quando non si tratta di te, all’improvviso si tratta di te”. “Pensavo, ‘Dio, ho tutte queste idee per canzoni che non riguardano Chester o quello che è successo'”, dice. “Così ho scritto una canzone sul momento di scrittura delle canzoni. Perché non tutte le canzoni parlano di lui e di quello che è successo.”

È un concetto con cui ha avuto a che fare mentre si chiedeva se rilasciare o meno Post Traumatic. “Ogni volta che una celebrità ha un evento che gli cambia la vita, l’internet vuole sempre leggerci qualcosa”, dice. “Se hai appena rotto con qualcuno allora tutto riguarda la rottura. ‘Oh, hai visto? Di solito beveva il caffè ma stamattina ha bevuto il tè, probabilmente è per colpa di lei’. Non è necessariamente così. È solo una cosa che l’internet sta proiettando su di te. “

Dice che a questo è preparato “in una certa misura” e di essersi abituato alle interazioni scomode con le persone che ci sono là fuori.

Shinoda si è esibito dal vivo poche volte dalla morte di Bennington. La prima volta è stata al tributo dei Linkin Park al cantante, un evento che Shinoda, a posteriori, definisce “estenuante”. “Sono stato quasi sempre sul palco, ho cantato la maggior parte del tempo”, dice. “Ho dovuto sdoppiarmi ed uscire dal mio corpo per parte del tempo, in modo da farcela, ma mi è davvero piaciuto come è venuto. Lo spettacolo più lungo che avessimo fatto fino ad allora era di 90 minuti, questo ha superato le tre ore. So che ha aiutato molte persone che non hanno avuto alcun tipo di memoriale e ha dato una chiusura ad altre”.

Mike HB

Una cosa che i suoi fan potrebbero non sapere a proposito dello show è che Shinoda, durante alcune canzoni, aveva la voce di Bennington nei suoi monitor in-ear, per avere un riferimento. “Sono abituato ad ascoltare le canzoni in un certo modo, quindi abbiamo iniziato a creare tracce per fare pratica”, dice. “In questo modo se manca qualcuno possiamo mandare la versione dell’album della sua traccia e fare pratica come se fosse lì. Se pensi ad alcune delle mie parti, c’è come un botta e risposta, quindi vorrei sentirla, quell’altra voce.”

Ma ascoltare la voce di Bennington accanto ad alcune delle voci più importanti dell’hard-rock come (tra quelli che hanno partecipato all’evento) Gavin Rossdale dei Bush, Jonathan Davis dei Korn e M. Shadows degli Avenged Sevenfold, ha aiutato la band a realizzare una cosa importante. “La settimana dopo lo show, lo stavo riascoltando e pensavo ‘Dio, questi erano tutti grandi cantanti e nessuno di loro era Chester‘”, dice. “Aveva un tono ed un range così specifici, un range incredibile. Poteva cantare quasi qualunque stile che volevi cantasse. Il che ha portato a conversazioni su cosa fare dopo. È diventato ovvio che non puoi prendere una persona a caso per metterla lì a cantare con noi, perché non sarà in grado di arrivare a metà della roba“.

Shinoda dice che è ancora troppo presto per fare ipotesi sul futuro dei Linkin Park ma, per il momento, non vede l’ora di scoprire dove lo porterà Post Traumatic. A maggio ha tenuto uno dei suoi primi concerti da solista e, dopo una partenza in cui era emozionato, ha trovato il suo equilibrio. “Ero piuttosto nervoso e una volta arrivato a metà ho detto al microfono, ‘Questa era la parte più difficile, quindi so che posso affrontare anche il resto’”, ricorda. “Non è che fosse pesante o triste, era solo più intenso, emotivamente, di come ricordavo fosse un normale set”.

La scaletta conteneva un mix di brani presi da Post Traumatic, alcuni dei preferiti dei Linkin Park e dell’altro progetto di Shinoda, Fort Minor. Si aspetta che cambi con il tempo. “Mi godo il fatto che sia una tela aperta e vuota” dice, anche se era irritato quando ha visto che i critici descrivevano il concerto come un tributo. “Non so come prenderla perché la mia intenzione non è quella di fare un tributo“, dice. “La mia intenzione è di fare un’esibizione ed in questa ci saranno dei momenti che ritengo un tributo, ma non l’intera esibizione. Ho chiesto ai fan ‘avete pensato che fosse uno show tributo?’ e la maggior parte di loro ha risposto di no, ma credo che il titolo sia più cliccabile dicendo che lo fosse”.

Mentre si alza dal tavolo, afferra un muffin da portare con sé ora che ha finito il suo caffè. È pronto ad affrontare la giornata, qualunque cosa abbia in serbo per lui – un atteggiamento che vorrebbe trasmettere ai suoi fan. “Mi sembra che l’arte abbia svolto un ruolo terapeutico così importante nell’intera faccenda”, afferma. “Parte dello scopo dell’intera cosa è dimostrare ai nostri fan che tutti sappiamo cosa è successo e raccontare cosa ho passato. Ora posso allontanarmi da quell’esplosione e stare bene. Spero che aiuti gli altri a fare lo stesso”.

 Fonte: Rolling Stone