Il 7 giugno è stata pubblicata sul Los Angeles Times una nuova intervista a Mike. Ha parlato di Post Traumatic, di Chester, del futuro dei Linkin Park e di come sia tornato a vivere. L’abbiamo tradotta integralmente.
Come Mike Shinoda è tornato a vivere dopo la morte di Chester Bennington dei Linkin Park.
La moglie di Mike Shinoda era solita scherzare dicendo che condotti lacrimali del marito fossero rotti.
In qualità di scrupolosa mente musicale dei Linkin Park, questo nativo del sud della California ha passato anni creando tracce curate nei più minimi dettagli – con chitarre incisive e vibranti ritmi hip-hop – che hanno messo in mostra i segni distintivi del frontman talentuoso ma tormentato della band, Chester Bennington.
Shinoda faceva più che programmare e produrre, rappava anche, con tanta aggressività che ben si abbinava all’energico impatto della band. Anche alla sua massima intensità, però, Shinoda, in qualità di vocalist, ha sempre comunicato qualcosa di qualità intellettuale – indignato ma non agonizzante.
“Di natura sono molto analitico” , riconosce in un recente pomeriggio. “Quindi anche se devo parlare di qualcosa di molto emotivo, lo farò in maniera ordinata. Forse è perché sono per metà giapponese e sono stato cresciuto con un approccio giapponese nell’affrontare le cose”, aggiunge sorridendo. “Sono sicuro esista una parola giapponese per descriverlo ma non la ricordo.”
Con questo nuovo album, Post Traumatic, Shinoda rivela un nuovo lato di se stesso anche se, come suggerisce il titolo, non per scelta. In uscita il 15 giugno, pubblicato da Warner Bros. Records, Post Traumatic è la cronaca delle dolorose conseguenze della morte di Bennington, avvenuta il 20 luglio 2017. Il cantante 41enne è stato trovato senza vita nella sua casa a Palos Verdes Estates, una settimana prima che i Linkin Park iniziassero il loro tour nordamericano.
Le canzoni di Shinoda affrontano la tragedia in maniera diretta. La crudezza del suo dolore può rappresentare un inizio, come nel brano che apre l’album, Place To Start, in cui dice “feeling every next step’s hopeless”, poco più che sospirando. In Nothing Makes Sense Anymore è “a shadow in the dark trying to put it back together as I watch it fall apart”.
Poi c’è Over Again, un tetro pezzo hip hop che in maniera vivida ripercorre i difficili pensieri che attraversavano la mente di Shinoda a proposito dello show in tributo di Chester che i Linkin Park hanno tenuto lo scorso ottobre all’Hollywood Bowl – l’unica performance pubblica della band, perlomeno fino ad ora, senza l’amato frontman.
“I think about not doing it the same way as before”, rappa Shinoda, la sua ansia chiaramente percepibile, “and it makes me wanna puke my …. guts out on the floor”. Non c’è niente di razionale nelle parole, che includono un’imprecazione non trascritta; è esclusivamente la voce di un uomo che fa i conti con le sue vulnerabilità.
“Questo è un album molto diverso per Mike” dice Chino Moreno dei Deftones, amico di lunga data che compare in Post Traumatic, album che enfatizza l’elettronica più delle chitarre e vede la partecipazione di Machine Gun Kelly e Blackbear. Moreno dice di essere rimasto sbalordito soprattutto dall’immediatezza di Over Again.
“Il mio amico ha scritto un verso prima di andare allo show ed il secondo appena dopo essere tornato, è la sua reazione viscerale, in tempo reale.”
Shinoda si prende qualche minuto prima di poter essere così diretto.
“Undici mesi fa ero uno disastro”, dice a proposito dei giorni che seguirono la morte di Bennington. “Voglio dire, non uscivo di casa”. Seduto su un divano nell’ufficio della sua etichetta a Burbank, Shinoda, 41, è stato prettamente metodico nel ripercorrere un momento che a detta sua sembrava il caos.
“Non riuscivo a mantenere l’idea di quel che volevo, neanche per le cose più semplici, tanto a lungo da fare effettivamente qualcosa a riguardo”, dice.
Dopo circa una settimana, uscì a pranzo con la moglie Anna. “Pensai ‘è piacevole’ “, ricorda. “Mentre tornavamo alla macchina siamo stati bloccati da due paparazzi. Sono stati disgustosi, scattando foto e chiedendomi di Chester. Tornato a casa pensai ‘è questo l’esatto motivo per cui non uscivo. Non lo farò di nuovo’”.
Al sicuro in casa sua, dove lui ed Anna vivono con i due figli, Shinoda ha iniziato a dipingere e alla fine “ho avuto il coraggio di suonare della musica – solo per provare e calmarmi e porre delle fondamenta di cui potermi fidare sotto ai miei piedi”.
Moreno, il cui compagno nei Deftones, Chi Cheng, morì nel 2013, disse di aver detto a Shinoda quanto gli sia stato di aiuto, al tempo, “sotterrare la sua testa nella creatività”.
“Forse provi un po’ di senso di colpa nel farlo”, dice Moreno “non sei sicuro che vada bene essere creativi. Ma la musica dà conforto – è come una coperta per me. E so che lo è anche per Mike”.
“Abbiamo parlato a lungo a proposito del farlo senza sentirsi in colpa”.
Una volta iniziato a scrivere canzoni, l’obiettivo di Shinoda era semplicemente documentare “questa verità che esiste nel mondo e che stai provando oggi e che potresti non provare domani”. Per la prima volta, non era preoccupato dal tipo di ritmo o dalla struttura che definisce la musica dei Linkin Park, e neanche dalle melodie ben curate; ha permesso a se stesso di seguire le sue emozioni imprevedibili, ovunque esse lo portassero.
“Ci sono stati momenti in cui riascoltandomi ho pensato ‘sembro matto’ ma forse è perché in quel momento un po’ lo ero”.
“Lo scorso anno per me è stata un’esplosione nucleare di perdita di controllo” , continua. “Ho un lavoro, un’eredità di cui vado orgoglioso e poi mi sono sentito distrutto”.
“Ho dovuto prendere in considerazione tutto e dire ‘beh, non posso far niente per quello che è accaduto’. Tutto quello che riuscivo a pensare era ‘che succede ora?’”
Nella sua forma completa, Post Traumatic ha lo smalto che Shinoda ha notoriamente portato ai Linkin Park (e all’album da lui pubblicato nel 2005 col nome di Fort Minor). L’annebbiata About You, ad esempio, dimostra quanto Shinoda abbia prestato attenzione ai recenti trend nella produzione hip hop.
Il capo della Warner Bros. Tom Corson, però, non ha tutti i torti quando dice che l’album ha qualcosa in comune con lo stile documentaristico prettamente naturalistico conosciuto col nome di cinéma vérité; porta l’ascoltatore nella stanza con Shinoda mentre lui è alle prese con la realtà della morte di Bennington.
“Ho sempre ascoltato musica dark – Depeche Mode, Public Enemy, Nine Inch Nails – ma non ho mai davvero vissuto tutte le cose che venivano raccontate nelle canzoni”, dice Shinoda. Anche nei Linkin Park, lui scriveva da una prospettiva diversa da quella da cui scriveva il defunto compagno nella band.
“Non ero un adolescente tossicodipendente”, dice Shinoda, che è cresciuto ad Agoura Hills e ha studiato illustrazione all’Art Center College of Design di Pasadena. “Non girovagavo per le strade cercando di fare i soldi necessari per comprare qualunque cosa fosse che lui comprava al tempo”.
“Ma ora sono in questa situazione tremenda. Sono membro di questo club di cui non ho mai chiesto di far parte”.
Shinoda non è da solo. Ovviamente, ci sono gli altri membri dei Linkin Park, con cui dice di essere rimasto molto vicino. Proprio l’altro giorno ha visto il bassista David Farrell, conosciuto come Phoenix, e gli ha chiesto se potesse escogitare un falso lavoro per Farrell che avrebbe dato modo al bassista di andare in tour con lui (Shinoda ha in programma tappe in festival Asiatici ed Europei quest’estate dopo l’uscita di Post Traumatic; prima, si esibirà il 14 giugno all’Amoeba Music in Hollywood.)
Quando gli viene domandato qualcosa sul futuro dei Linkin Park – se davvero la band ha un futuro – Shinoda sospira.
“Ogni volta che dico qualcosa riguardo ai nostri piani, diventa un titolo da clickbait”, dice. “Ma il mio istinto dice che voglio risolvere la situazione. Cercherò il modo per riuscirci”.
In un certo senso, fanno parte del club anche i devoti fan dei Linkin Park, molti dei quali senza dubbio aspettano l’album di Shinoda nella speranza che possa esprimere il loro stesso dolore per la morte di Bennington.
Shinoda dice di essere al corrente di questa responsabilità. Avendo parlato, durante gli anni, con migliaia di fans dei loro problemi di depressione o dipendenza, sa quanto seriamente venga presa la musica della band.
La sua esperienza con Bennington, però, ha cambiato la sua percezione del ruolo che ricopre.
“Guarda, chiunque farebbe qualunque cosa per aiutare qualcuno”, dice. “Ma la realtà è che dipende da te. Sei tu che devi decidere di fare qualcosa a riguardo, perché nessun altro può stare con te 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. E questa è une delle cose più difficili.”
“Non c’è persona che poteva esserci in quel modo per Chester. In fin dei conti, è stata la sua decisione o no. E lo stesso vale per i fans.”
“Non penso sia un album che porti ispirazione”, continua. “Non sto per salvare delle persone. La mia intenzione è solo uscire allo scoperto e raccontare la mia storia.”
Fonte: Los Angeles Times