Era arduo il compito dei Linkin Park nel 2003, quando furono richiamati in studio per dare un seguito all’enorme successo di Hybrid Theory. Non era facile ripetersi dopo il loro album di debutto, un album dal successo commerciale strepitoso e che aveva catapultato i sei californiani direttamente all’attenzione dell’industria musicale mainstream.
Meteora è un album che segue a grandi linee il discorso intrapreso dai Linkin Park con il loro disco d’esordio, forse con una minor freschezza ma con una maggiore varietà di suoni. In primis le influenze hip hop si fanno più marcate, mentre i beat generalmente sono più pesanti e dalle lontanissime influenze industrial. L’emotività che faceva da padrone in Hybrid Theory non viene cambiata di una virgola con le lyrics piene di rabbia, angoscia e problemi esistenziali. La semplice struttura con due vocalist viene riproposta senza cambiamenti: Shinoda rappa e Bennington canta e urla, entrambi in maniera efficacissima. La chitarra di Brad Delson usa power chord semplici ma efficaci e il batterista Rob Bourdon mostra un netto miglioramento rispetto all’album precedente.
Partendo da Don’t Stay (anticipata dalla inutile Foreward) si nota immediatamente la continuità con Hybrid Theory prima descritta: la struttura della canzone è il ben noto avvicendamento di strofa e ritornello con una variazione nel bridge a due terzi di canzone, beat elettronici made in Hahn, potenza emotiva e Chester Bennington che si rovina le corde vocali. Di certo non è la canzone migliore mai composta dai nostri, ma è una traccia potente e intensa che fila senza mostrare difetti.
La terza traccia è la arcinota Somewhere I Belong, la traccia sicuramente più simile alla proposta musicale nel disco d’esordio dei Linkin Park dove Mike Shinoda ci delizia con un malinconico rap accompagnato da un arpeggio di chitarra ripetitivo ma non banale. Una delle tracce più riuscite di Meteora, pregna di rabbia verso se stessi e perdita di speranza per una felicità difficile da raggiungere.
Nelle successive Lying From You e Hit The Floor troviamo pesantissime influenze dal rap metal con riff di chitarra potenti , beat “industrial” e ritmi serratissimi. Si tratta di due canzoni molto oscure, intrise di rabbia. Altrettanto oscura, ma decisamente più triste e malinconica è Easier To Run, forse il pezzo più sottovalutato dell’intera carriera dei Linkin Park. Un mesto arpeggio di chitarra introduce il primo ritornello pieno di sconforto. Il lugubre rap di Shinoda porta alla mente tristi memorie in un brano dall’emotività struggente.
Faint si distingue per l’ottima prova delle corde vocali di Bennington, strapazzate e tartassate nel bridge, e il velocissimo rap di Shinoda. L’aggiunta di alcuni archi dona un tocco in più ad una canzone molto potente e piena di energia dove il riff di chitarra si imprime molto velocemente nella testa dell’ascoltatore. La successiva Figure.09 si rivela essere la traccia forse meno riuscita di Meteora. Piacevole da ascoltare ma che difficilmente verrà voglia di tornare ad ascoltare di proposito. Forse per via del ritornello abbastanza banalotto o forse per via della mancanza di un qualcosa in più che la faccia ricordare.
Qualcosa in più che non manca di certo a Breaking The Habit, uno dei pezzi migliori in assoluto dei sei californiani. Un comparto strumentale di alto livello accompagna la forse miglior prestazione vocale di Chester Bennington che interpreta superbamente il bellissimo testo scritto da Mike Shinoda, testo nel quale ha sicuramente riconosciuto se stesso e il suo tormentato passato. I power chord e la potenza sono messi da parte per ricercare un sound più raffinato e melodico. La parte strumentale composta da archi campionati, arpeggi di chitarra e semplici accordi di pianoforte perfettamente accompagna questa triste canzone che ha indirizzato il futuro percorso artistico dei Linkin Park.
In From The Inside abbiamo di nuovo la presenza dei “chitarroni” e Chester che maltratta la proprie corde vocali nel bridge con urli disperati e violenti. From The Inside si dimostra come un bellissimo amalgama di malinconia e rabbia in una danza in cui le due anime della canzone si scambiano continuamente i ruoli e danno vita ad una canzone dal forte impatto emotivo. Il shakuhachi giapponese fa capolino in Nobody’s Listening rivelandosi però l’unico elemento veramente notevole in una canzone in cui Shinoda fornisce una buona prova che però non basta per cambiare le sorti di una canzone senza grossi difetti ma che altrettanto non ha grandi meriti.
Session è la strumentale dell’album dove Hahn mostra tutte le sue capacità di disc jockey dando vita ad un brano magico che trasporta l’ascoltatore per due minuti e ventiquattro secondi attraverso la miglior strumentale dei Linkin Park.
In chiusura troviamo Numb, il singolo che si è sentito fino allo sfinimento e il capogiro all’epoca in cui uscì. Eppure non si tratta della canzone migliore di Meteora. Molto emotiva e melodica, manca di una verve di originalità per potersi veramente distinguere come canzone d’eccellenza.
Meteora è un buon successore per l’album di debutto Hybrid Theory. Forse non così ispirato come quell’album che conteneva undici potenziali singoli, ma sicuramente un lavoro valido e solido.