Mike Shinoda rivela nuovi dettagli su One More Light

LPA: Abbiamo visto la band definire questo album come un disco molto “personale”. Hai menzionato che collegamenti al tema della famiglia vi hanno portato a scegliere la copertina dell’album, per esempio. Ma tutti voi avete precedentemente scritto canzoni che erano profondamente personali. Quale è la differenza in questo disco? Ci dobbiamo aspettare il tema della famiglia esplorato in modo più esplicito dei precedenti album?
MS: In un certo modo, questo album è personale perché è più specifico. Forse perché ogni canzone è stata iniziata da un concetto e dal testo. Spesso in One More Light le parole dipingono un’immagine che ti trasporta in un tempo e luogo specifici. Per esempio, in “Halfway Right”, Chester canta “Ero solito sballarmi con ragazzini senza futuro / In case abbandonate dove dimorano le ombre.” Questa è un’immagine molto specifica, e probabilmente una che non apparirebbe in nessun altro nostro album.

LPA: Con la lista tracce finale rivelata, sembra che molte delle canzoni abbiano lo stesso titolo di lavorazione che abbiamo visto sulla lavagna quando è iniziato il periodo di scrittura. Pensi sia da attribuire al vostro nuovo approccio di scrivere le canzoni prima della musica, così da avere un sistema per battezzare le canzoni basato sulle parole che stavate scrivendo piuttosto che sulla musica?
MS: Sì, i titoli delle canzoni erano lì dall’inizio per questo album, perché le parole sono venute prima. Negli altri album, abbiamo iniziato con la musica, quindi dovevamo trovare parole a caso per battezzare le canzoni nel computer. Ma in questo disco, tutti i titoli sono parole delle canzoni.

LPA: Vi abbiamo sentito parlare della natura malinconica della title track “One More Light” – suggerendo che sarà una canzone veramente cruda, piena di emozioni. Con l’essere album così personale, quali erano alcune delle difficoltà che avete affrontato nello scriverlo? Ci puoi indicare qualsiasi altro momento o traccia dell’album che pensi l’ascoltatore possa trovare inaspettato o impegnativo?
MS: “One More Light” è una canzone spoglia, ispirata dalla morte di un’amica. In un certo modo è il cuore dell’album, forse perché è minimale, forse perché del soggetto e dell’esecuzione. Parla di perdita, di legami e della miriade di complesse emozioni che accompagnano questo tipo di storie.

LPA: Come ogni altra uscita di un album dei Linkin Park, dividerete inevitabilmente la fanbase. In una intervista hai detto che non “rappi” molto in questo disco, ma canti di più. Hai fatto anche notare che non ci sono “urla” di Chester o chitarre pesanti. Questa è stata una scelta ponderata che avete fatto durante la lavorazione o ci sono delle canzoni che avete registrato che avete deliberatamente deciso di non includere nella lista delle dieci finali perché magari nell’insieme stonavano con il tono e con il messaggio che volevate creare con quest’album?
MS: Non ci è importato del genere. Le decisioni sonore che abbiamo fatto con questo disco sono state intese per servire al meglio ogni canzone. Ci siamo concentrati su parole e melodie che sentivamo speciali per noi, quindi abbiamo sostenuto quelle canzoni con sound che sentivamo andassero d’accordo con il testo e creato il miglior paesaggio sonoro. Alla fine penso si possa sentire che non ci siamo adattati a qualcosa, e questo ci piace.

LPA: Durante il processo di scrittura di One More Light abbiamo visto menzionati, accennati o presenti in studio vari artisti che potevano essere potenziali collaboratori dell’album, inclusi The Chainsmokers, BlackBear e Conner Youngblood, tra gli altri. Con la tracklist finale, che ha come unica collaborazione Kiiara, puoi finalmente far luce su queste collaborazioni, e dirci se qualcuna di esse si è concretizzata anche nel processo di scrittura? BlackBear l’anno scorso ha postato uno snapchat dallo studio che lasciava intendere “Sorry for Now” fosse una di queste collaborazioni. È davvero così, ed è stato coinvolto in qualche modo lui?
MS: Generalmente, funziona così: ci piace entrare in studio con qualcuno, ed iniziare a lavorare su qualcosa assieme. Abbiamo lavorato nello stesso modo in cui scriviamo sempre le canzoni, ma con un elemento supplementare in studio. Penso che voi già conosciate alcuni dei collaboratori dell’album: Andrew Dawson, Eg White, Justin Parker, RAC, Julia Michaels, Justin Tranter. Per “Sorry for Now”, avevo terminato la parte vocale ed una traccia grezza che era piaciuta a tutta la band, ma abbiamo pensato che potevamo metterci un po’ più di “pepe”. Così abbiamo invitato BlackBear e Andrew Goldstein in studio con me, Chester e Brad, ed abbiamo creato insieme questo campione vocale che ha portato la canzone ad un nuovo livello. È stato divertente avere in studio persone ogni volta diverse, con differenti prospettive e talenti.

LPA: Prima dell’uscita di The Hunting Party lamentavi che lo stato della musica rock dell’epoca vedeva una mancanza del viscerale suono rock/heavy con cui tu e la band, ed anche molti di noi, erano cresciuti. Nel fare ciò, hai sottolineato anche il suono “pop” di molte band alternative ed indie rock. Tuttavia, molti fans e critici musicali hanno visto in Heavy una canzone molto più “pop” e mainstream di vostri precedenti lavori. The Hunting Party aveva intenzione di essere una sorta di dichiarazione musicale nel contesto musicale di quel periodo? E cosa diresti ai fan che potrebbero grattarsi la testa ascoltando il nuovo disco, considerata la mentalità metal ed anti-pop dell’ultimo?
MS: Bella domanda. Pensa ad una galleria di mostre di quadri: ogni mostra è una dichiarazione, ispirata da dove sono i pittori in quel momento e da cosa accade intorno a loro. Non siamo il McDonald’s, non rifacciamo la stessa cosa mille volte. Per essere felici, dobbiamo sperimentare e allargare i confini di chi siamo come band e di cosa facciamo. A volte questo significa repentini cambi di direzione. Inoltre, chi pensa che i Linkin Park siano sinonimo di un solo genere non è molto familiare con la band. Siamo fieri di stare a nostro agio sul palco con Paul McCartney, Metallica, Jay-Z, e Steve Aoki. Chi altro può fare ciò?

LPA: Non sappiamo se ne siate consapevoli, ma da una prospettiva esterna, il ciclo avviato con OML sembra mostrarci per la prima volta questo particolare lato della band. Sembrate a vostro agio, felici ed eccitati di dove siete ora, e sembra che questo sia trasmesso non solo dalle interviste, ma anche dalla vostra musica. C’è una sorta di ottimismo in ciò che fate. C’è qualche merito per questo?
MS: Come tutti, i sei ragazzi della band sono complessi ed umani. Hanno giorni buoni, giorni cattivi, e tutto ciò che sta in mezzo. Penso una cosa di questo album e di dove siamo, ovvero che siamo a nostro agio con noi stessi nel condividere le nostre esperienze e la nostra arte come non avevamo mai fatto prima. È questo che rende speciale One More Light, e non vedo l’ora che la gente lo senta.

 

Fonte: Linkin Park Association