Il sito australiano The Music Network ha pubblicato una recensione completa di A Thousand suns. Interessante da leggere perchè è al momento la prima ed unica recensione (molto) negativa dell’attesissimo lavoro della band.
Attenzione, contiene spoiler, sarcasmo, ironia e critica ingiustificata verso l’album.
Leggere con mente aperta e preparata.
Quando uscì nel 2007 il terzo album dei Linkin Park Minutes to Midnight la band inneggiò al suo grande cambiamento. Non fu così. Di certo c’erano dei cambiamenti (meno rap, più cantato, più assoli) ma il DNA certificato della band – testi torturati, chitarre sgranocchianti, ritornelli da-sbattere-i-pugni-sul-petto – era più ovvio che mai.
La grande partenza finalmente arriva nel loro nuovo album A Thousand Suns. Armati con un elenco di sampler e synth ed un nobile desiderio di cestinare la struttura programmata dei loro vecchi pezzi, questi sono i Linkin Park come non li avete mai sentiti prima. Partenza è la parola chiave quì e si sono impegnati per lasciare molti fans dello stile originale indietro dopo questo lavoro.
Abbastanza ovvio che A Thousand Suns sia un concept album. Dal suo titolo (citazione del “Padre della bomba atomica”,Robert Oppenheimer) ai nomi delle canzoni (come The Requiem, Burning in the Skies e Fallout) ai testi apocalittici, ATS vacilla verso la fine di una guerra nucleare (innescata dalle macchine ?) e riflette davanti tale devastazione.
Potete anche dire che sia un concept album dagli interludi. Tanti e tanti ancora interludi. Cinque in totale, e questo comprende non una, ma due intro.
Traccia uno, The Requiem, inizia con un atmosfera desolata e note di piano sparse. Un coro fantasma inizia a cantare ed una ragazza dalla voce robotica canticchia una filastrocca del primo singolo “God bless us everyone / We’re a broken people living under loaded gun”. Sembra l’inizio di un film.
Segue con un intermezzo, The Radiance, che contiene principalmente l’infamante discorso di frase di Oppenheimer sul ‘Destroyer of Worlds’ pronunciato dopo aver detonato la prima Bomba Atomica. Grandi temi, ma dove sono le canzoni ?
Ahhh, eccole… la traccia tre, Burning in The Skies irrompe con un beat elettronico da club, un rigido motivo di pianoforte (che d’ora in poi chiameremo il Piano dell’Apocalisse™) e quasi nessuna traccia di chitarre! Potete già sentire i fans digrignare i denti.
Il Co-frontman Chester Benington sembra più contenuto del solito, anche se i suoi testi sono addolciti dai riferimenti di rovina prima di lanciarsi in un ritornello “I’m swimming in the smoke of bridges I’ve burnt” non è troppo simile dal loro ultimo singolo What I’ve Done. Ottimo spunto, delle chitarre glaciali urlano nell’intermezzo, ma fin’ora è ancora molto Linkin Parkeggiante. Sicuramente un potenziale singolo.
La traccia quattro, Empty Spaces contiene dei grilli e bombe in lontananza, prima che la traccia cinque When They Come For Me li cacci via con una stridente esplosione di impulsi elettronici, percussioni meccaniche e beat Hip-Hop. Il Co-frontman Mike Shinoda è tornato al microfono a rappare, sputando anche qualche ‘motherfuckers’.
Whoah! Un minuto fa eravamo su ponti fumanti e con una vita vita che si rammarica dopo l’apocalisse e adesso stiamo mettendo le mani in alto e non ce ne frega niente! C’è un rifugio anti-atomico quì in casa ?! Ma chi se ne frega – robot rap party! Chester scimmiotta ‘Come for me, come for me’ nell’intermezzo prima che le armonie esplodano ancora. Suona molto come il side-Project di Shinoda, i Fort Minor.
Ancora a suonare il Piano dell’Apocalisse™ al limite dell’estinzione per la traccia sei, Robot Boy con una batteria fulminea e note di piena atmosfera. E’ una traccia -piena di archi- lenta e molto più melodica con delle voci in riverbero che cantano “You say you’re not gonna fight ‘cause no one’s gonna fight for you”. Niente di terribilmente eccitante stavolta.
Traccia sette, Jornado Del Muerto è un altro inutile intermezzo ma il seguito, Waiting for the End mantiene le promesse con un interessante beat robotico di Shinoda che rappa in stile ragga. Benington si aggiunge con un ritornello quasi ballabile “All I wanna do is treat it like it’s something new” – prima che un altra Shinoda-scazzottata lo scuota nuovamente.
I fan di vecchia data daranno il benvenuto a Blackout con Chester che sputa in velocità testi sulle pioggie acide e l’anarchia sopra una scoppiettante chitarra distorta prima di masticare dei rasoi ed urlare su un ritornello che fa ‘Blackout, blood in your eyes’. Dopo un grande abbattimento di dubstep metal, scende in una calma ninna-nanna interpretata dal Piano dell’Apocalisse™ ed una ballad di Bennington impostata in automatico. Il finale sembra quasi improvvisato. Strano.
La traccia successiva Wretches and Kings è una hit che colpisce duramente. Un mostruoso e tuonante beat di basso e chitarra impazzite esplodono mentre Shinoda rievoca i Public Enemy di “bass, how low will you go?” e “To save face, how low will you go?” in questa traccia da lotta cibernetica. Benington entra nel ritornello urlando e suona davvero epico. Il pogo della folla si mangerà questo pezzo.
Poi c’è un altro stacco con Wisdom, Justice and Love ed una frase di Martin Luther King che lentamente cambia in una voce maligna e robotizzata.
Ahhh, il Piano dell’Apocalisse™ ritorna! Iridescent è una Linkin ballata a mezzo tempo come la Hit precedente Leave Out All The Rest. La tripla M [si riferisce forse ad MTV ed ai canali commerciali] ne sarà sollevata! Finalmente una traccia che possono suonare. Include alcune dei testi più sentimentali di Bennington su ATS “Do you feel cold and lost in desperation? / Remember all the sadness and frustrations and… let it go!” una delle poche canzoni canticchiabili.
Fallout è un altro interludio con la voce robotica di Shinoda che canta versi da Burning Up The Skies. Svanisce nel primo singolo, The Catalyst, che, nonostante i fans abbiano sbattuto denti ed unghie su internet, resta il miglior prodotto dei Linkin Park 2.0. Spinge in avanti con dei synths quasi da musica trance, beat programmati ed una forma che viene fuori lentamente, cresce in un imponente pianto da prima-battaglia-aerea. Se fosse un film, questo sarebbe la vittoriosa scena di combattimento.
E non ci resta che la traccia finale, The Messenger, dove Bennington baratta il Piano dell’Apocalisse™ con il Jam intorno al Fuoco™ ed una chitarra acustica. Yes, una chitarra acustica. Pensavamo che avrebbero distrutto tutto in un immenso fungo nucleare, ma no, Benington gli da un colpo. Cantando grezzamente con un pò di Autotune, uccide questa canzone cantando decisamente troppo. Davvero doloroso. Credo abbia inserito questo pezzo di nascosto nell’album mentre gli altri ragazzi erano fuori in pausa.
Complessivamente, A Thousand Suns è una partenza radicale dalla band, ma lo è in un modo molto scostante. I Linkin Park sono sempre stati grandi per la sinergia dei suoi frontmen, ma questa volta sembrano come due forze opposte, che vanno in direzioni diverse cercando di reinventarsi.
A questo punto, mentre ci sono momenti che la fanno da padrone (The Catalyst, Wretches and Kings), molte delle traccie sembrano esperimenti piuttosto che canzoni propriamente formate.
A Thousand Suns potrebbe essere la grande partenza dei Linkin Park, ma per adesso la loro destinazione finale sembra ancora sconosciuta.
Fonte LPassociation