In una delle prime interviste rilasciate dopo la presentazione della nuova formazione della band, a proposito del titolo Mike disse che il significato di “From Zero” era duplice: da un lato ripartire da zero, dall’altro tornare alle origini.
Il ripartire da zero, un reset, c’è stato, ed era abbastanza inevitabile che ci fosse. Quest’album è un nuovo inizio per i vecchi membri, per i nuovi e anche per i fan. Per quanto riguarda il ripartire dalle origini, invece, forse sarebbe stato meglio dire ripartire da loro stessi.
“From Zero” non riparte da Xero, seppur il gioco di parole sia carino. “From Zero” riparte da quei ragazzi, oggi uomini, che venticinque anni fa avevano un sogno e talento da vendere, che ad oggi hanno ancora talento e la volontà di continuare ad inseguire quel sogno, nonostante gli imprevisti e con forze fresche a supportarli. Questo album è la perfetta risposta a tutti coloro che, pretendendo con saccenza di aver ragione, insistono nel dire che la band avrebbe dovuto cambiare nome. I Linkin Park sono vivi, perché lo è il loro sound e lo sono le loro idee.
“From Zero” è un album che attinge da tutte le ere passate dei Linkin Park, tant’è che ascoltandolo si hanno in continuazione deja vù o, per meglio dire, dejà entendu. Le note, le parole, i riff, i ritmi, i temi, gli scream, gli scratch, le strutture delle canzoni, sono piccoli tasselli che vanno a formare il mosaico estremamente riconoscibile che sono i Linkin Park. In questo album però, non ci sono solo i Linkin Park delle origini: ci sono HT, Meteora, MTM, ATS, LT, THP, OML. Ci sono i Linkin Park, che con “From Zero” ci vogliono dimostrare che la loro musica, la loro storia, non sono andate perdute. Che le fondamenta sono solide. E hanno resistito al crollo più rovinoso.
Questo album sicuramente non è il loro lavoro migliore, cosa che d’altronde nessuno si aspettava, dopo 7 anni e cambiamenti così profondi. È un album “safe”, in cui i Linkin Park hanno fatto quello che sanno fare meglio: essere loro stessi, senza fronzoli o senza provarci troppo. C’è da dire che a tratti sembra di ascoltare la voce di Emily su canzoni di un’era diversa da quella attuale e la sensazione di “già sentito” diventa preponderante. È come rivivere in breve (molto breve, ad esser sinceri) tutta la musica dei Linkin Park con questa nuova formazione, e alcune canzoni sembrano essere state confezionate su misura come a voler dire “hey guardate, sappiamo farlo ancora”, possiamo farlo ancora.
È apprezzabile, rispettabile e sicuramente comprensibile la volontà di riaffermarsi non solo come band, ma proprio come Linkin Park, in mezzo a tanta gente che da 7 anni a questa parte dice che non esistono più. Per alcuni fan sentire di nuovo questo sound così familiare sarà come tornare a casa, una casa in cui credevano di non poter mettere più piede. Per altri sarà un po’ noioso e deludente perché, parlando chiaramente, i Linkin Park sanno essere più di così.
Nella loro voglia di riaffermarsi e dire “ci siamo ancora”, una band che ha fatto della creatività il suo segno distintivo, che non ha mai voluto legarsi a un solo genere, che ha sempre fatto la musica che voleva, per questo album sembra essersi costruita delle mura (musicali) entro le quali muoversi, mura che racchiudono il “genere” Linkin Park. Questo album è tutto ciò che abbiamo già sentito dalla band, non c’è molto di nuovo (a parte l’ovvio) il ché, se da un lato fa dispiacere e rimanere un po’ con l’amaro in bocca, dall’altro è del tutto comprensibile e, pensandoci, forse non ci si poteva aspettare nulla di diverso. E va bene così.
Va bene così perché questo è solo il punto di partenza. La band ha provato a se stessa, ai fan e al mondo intero che le fondamenta sono più solide di quanto si potesse pensare, e da qui in poi si può iniziare a costruire.
Articolo a cura di Selene Rossi