Qualcuno direbbe: quando la classe non è acqua. Ecco, forse questo sarebbe il titolo più appropriato allo show sostenuto sabato da Mike a Milano, seppur riduttivo per descrivere quanto messo insieme dall’artista losangelino. Eppure è tra le sensazioni a caldo più sentite da parte di chi non era lì per Mike Shinoda (ma per i Thirty Seconds to Mars, headliner della serata) ed ha comunque goduto di uno spettacolo da parte sua.
Rimettendo insieme i ricordi e metabolizzando tutte le emozioni dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle ecco la nostra analisi a posteriori.
Per noi e tutti i presenti questo evento è iniziato il giorno prima in Piazza Duomo, dove come è ormai rito da molti anni a questa parte abbiamo incontrato alcuni di voi fan ed amici vecchi e nuovi, consegnato la nostra maglietta del concerto (rigorosamente a tema MS) e cenato tutti insieme, scambiandoci ricordi, emozioni e desideri. Perchè più che mai di anno in anno i concerti di questa band e tutto ciò che vi ruota intorno acquistano importanza per le persone con cui tutti noi riusciamo a ritrovarci e con cui condividiamo questi bellissimi ricordi ed emozioni: persone, dopo la musica, in una community in costante evoluzione tra alti e bassi ma sempre molto legata.
Alcuni eroici fan hanno passato la notte in coda mentre la maggior parte di noi si è avviata in mattinata sulla location dell’evento. Appena arrivati sotto la stazione di Rho fiera con grande sorpresa abbiamo trovato ad accoglierci il grande mosaico (presente in fondo alla grande sala del terminal) con la scritta “Mike Shinoda!”, lasciata proprio dai fan arrivati fin dal pomeriggio precedente, come una sorta di abbraccio collettivo al resto della grande famiglia. Questo grande legame tra gli appassionati di Mike e dei Linkin Park sarà per forza di cose un tema importante di tutto l’evento, vissuto come un vero e proprio ritrovo e terapia di gruppo, dove poter tutti insieme vivere il Post Traumatic messo in scena da Shinoda.
Tra i primissimi a mettersi in fila c’era una netta maggioranza di fan del polistrumentista Californiano, mentre i fan più hardcore dei Mars si trovavano all’interno dell’area concerti per assistere al Soundcheck della band. Per chi ha vissuto l’attesa in coda degli scorsi eventi italiani della band le appena 3 ore sotto il sole sono state una tranquilla passeggiata di salute senza alcun dubbio – verso le 16 inoltrate sono stati aperti i varchi per l’accesso all’area del palco, presidiati da una Security molto rigida e con controlli serrati.
Arrivati nel PIT, giusto il tempo prendere posto e recuperare le forze ed il fiato della lunga passeggiata lungo il Decumano dell’ex-area Expo ed ecco che parte il DJ set di Virgin Radio con Giulia Salvi. A seguire è la volta dei Sonars, duo inglese di origini italiane con il loro interessante sound fatto di elettronica psichedelica e vibrazioni alienanti molto avvolgenti.
Si svolgeva nel frattempo il Meet & Greet con Mike e la band a supporto durante il quale molti di voi hanno avuto modo di incontrarlo per la prima volta. Tra di loro c’era Aurora, fortunata vincitrice del pass che abbiamo messo in palio al nostro raduno (ha affidato le sue emozioni a caldo al suo Instagram) ed il nostro Damiano a cui abbiamo affidato l’onere di consegnare a Mike la bandiera che tutti voi avete firmato durante il raduno ed in fila.
I had enough hard days, It’s like if I wake up and I feel good I souldn’t feel guily about having fun, you know?
Al calar del sole arriva il gran momento: Mike fa il suo ingresso a sorpresa sul palco, intonando acapella il ritornello di Remember the Name, seguito immediatamente dopo dagli ottimi Matthias e Dan alla strumentazione (il primo alle tastiera, il secondo alla batteria) per dare il via al brano vero e proprio. Si tratta della prima volta dai tempi dei concerti dei Fort Minor del 2006 che Mike non proponeva tale pezzo come canzone di apertura e la sorpresa è stata decisamente gradita al pubblico, che non ha perso tempo per cantarla a squarciagola. Neanche il tempo di prendere fiato che arriva il momento di scatenarsi sulla incredibile When They Come for Me, in cui la folla partecipa attivamente oscillando le braccia a seconda del ritmo imposto dall’artista.
A seguire, le urla del pubblico festante vengono momentaneamente interrotte dal suono luccicante e melodico di Roads Untraveled, dove a sorpresa da bordo palco, Mike invita a entrare sul palco un fan che aveva incontrato prima durante il Meet & Greet. Giuseppe, questo il suo nome, si propose già a Shinoda l’anno scorso a Monza per poter suonare la chitarra in Faint, ma senza risultato. Questa volta la fortuna è stata dalla sua parte e si è decisamente fatto valere durante la performance del palco.
Giusto il tempo di celebrare il fan che ha preso parte a questa fantastica iniziativa, che Mike si vede costretto a traccheggiare sul palco per consentire ai soccorsi di recuperare un ragazzo che si è sentito male nelle prime file del pit durante la canzone. Ricorda quindi alla folla le testuali parole “Ricordate quello che diciamo sempre? Se qualcuno sviene, noi lo aiutiamo!”. Ringraziando poi anche il pubblico per la collaborazione con il pronto intervento. (Il fan portato via dai medici ora sta bene).
ph. Francesco Prandoni @ onstageweb
Lo show riprende con Ghosts, dove non sono mancati i tanti Boris a fare da sfondo (da segnalare anche un mega fantasma presente in transenna), e con Castle of Glass, da quest’anno suonata con un semitono più alto e con Mike al pianoforte anziché alla chitarra (quest’ultima suonata da Matthias).
A nostra grande sorpresa, Mike suona Sorry for Now, proponendola per la prima volta durante i festival. Il bridge del pezzo viene esteso per dare spazio a Dan: il fenomenale batterista dei Tatran in circa due minuti è protagonista assoluto di un assolo di batteria da applausi. Non sono mancati poi i momenti in cui Mike ha coinvolto il pubblico, come in Crossing a Line, dove oltre a cantare e a suonare la chitarra, ha accompagnato Dan alle percussioni elettroniche durante il breve intermezzo strumentale prima del ritornello finale.
Dopo una breve pausa in cui Mike guarda la folla in maniera molto soddisfatta e appagata, parte il mashup di Waiting for the End/Where’d You Go, dove Mike sul finale guida la folla con le note di pianoforte di Waiting for the End, cantandone la prima strofa e il ritornello.
Il momento magico ed emozionante prosegue con la tanto attesa versione al pianoforte di In the End, preceduta da un discorso intimo di Mike: il frontman racconta le proprie difficoltà e insicurezze antecedenti al tour asiatico ed europeo, ringraziando i propri compagni di viaggio e lo staff dietro le quinte per avergli trasmesso una maggior sicurezza sul palcoscenico. Immancabile il ricordo al compianto Chester e memorabili i fan che, nonostante le lacrime, regalano un’energia emotiva quando viene dato loro spazio a cantare la prima parte di In the End. A seguire, Mike intona al pianoforte un medley tra Heavy e Numb (come già capitato a Colonia lo scorso mese) dando ancor più spazio a un pubblico visibilmente provato ed emozionato.
Anche il flashmob ideato in extremis da alcuni fan è uscito bene e meglio del previsto. In molti, dopo In the End hanno innalzato verso l’alto la scritta “You Hold Us Together”, per poi intonare il ritornello di Leave Out All the Rest appena dopo Numb. Purtroppo Mike non ha colto l’invito di comporre al piano tale canzone, quasi sicuramente non poteva permettersi un fuori programma così dispendioso visto i tempi molto stretti.
https://www.youtube.com/watch?v=iRbpUgkwAiM
Dopo questo lungo momento dedicato al ricordo di Chester, lo show riprende vita con il medley di About You/Over Again/Papercut in cui Mike si proietta spesso a bordo palco per caricare la folla, quest’ultima a dir poco scatenata durante la fase finale di Papercut, brano per l’occasione arricchito di un nuovo riff di chitarra suonato da Matthias.
Ci si avvicina verso la fine dello spettacolo con la tambureggiante Make It Up as I Go, di recente pubblicato come secondo singolo negli States, e l’ultimo mashup della serata, composto da Good Goodbye e Bleed It Out, dove il rap di Mike si mescola con i cambi improvvisi di ritmo e di percussioni della batteria di Dan e con i cori di Matt.
Lo show si conclude con la coinvolgente Running from My Shadow, in cui Mike si avvicina al bordo passerella, scruta la situazione e tenta di scendere, un addetto alla sicurezza con la mano cerca quasi di dissuaderlo, ma lui imperterrito gli chiede di spostarsi e fargli largo per scendere e salire in transenna. Il risultato che ne viene fuori è un pogo selvaggio con la folla, con tanto di linguaccia in bella vista che sta a significare il pieno coinvolgimento di ciò che stava vivendo. Inutile dire che Mike era piacevolmente sorpreso da tutto questo. Il finale viene ulteriormente esteso da Matthias e Dan, con quest’ultimo protagonista di un brevissimo assolo conclusivo che mette la parola fine a quello che si può definire uno show da paura.
Terminato lo show di Shinoda, giusto il tempo di spostare le attrezzature e allestire il palco per il prossimo artista che arrivano sullo stage i Thirty Second To Mars, che regalano ai presenti uno show più sotto il profilo artistico e coreografico che musicale.
ph. Francesco Prandoni @ onstageweb
La serata si conclude con il defluire del pubblico lungo il percorso in uscita – la lunga traversata lascia spazio ad emozioni e riflessioni a caldo da parte di tutti, su quello che è stato il grande spettacolo di Mike, a rendiconto di un tour Asiatico ed Europeo di ben 18 date che hanno anticipato la chiusura proprio nella tappa di Milano.
Poco più di un anno fa Shinoda come uomo ha subito un colpo violento ed inimmaginabile con la perdita del suo compagno Chester Bennington, ma come artista ha tratto da questa drammatica esperienza energie e coraggio inattese che hanno aiutato ulteriormente la sua già sviluppata attitudine evolutiva.
Per molti questo concerto è indubbiamente stato un momento catartico, un modo per esorcizzare quell’addio a Chester che tenevano dentro da quel terribile 20 Luglio, per lasciarsi andare insieme ad altri fan, tutti insieme stretti a sostenersi, onorare e festeggiare quello che questi ragazzi significano ed hanno significato per loro. In piccolo ed in chiave più personale Mike ha rielaborato il concetto e la forma dello show commemorativo all’Hollywood Bowl, dandogli un seguito e permettendo ai fan europei ed asiatici di rivivere quel momento di grande ritrovo, celebrazione ed energia.
A tal proposito Mike ha affidato ai social il suo riassunto del tour passato, che vi riproponiamo:
“Ripensando a due mesi fa, questo tour avrebbe potuto essere un fallimento. È durato più di cinque settimane, una circumnavigazione del pianeta con più concerti alla settimana di quanti ne facessi da anni. Ho affrontato un tour come solista per la prima volta. Tra concerti, giorni con tre/diciotto ore di viaggio su aerei, treni e macchine. Non avevo nessuno con cui dividere l’onere delle interviste, di incontri e telefonate con la stampa, nessuno ad aiutarmi se la mia voce fosse stanca o se mi fossi ammalato. Gli spettacoli erano decisamente diversi: giorno, notte, all’interno, all’aperto, grandi folle, piccole folle, set lunghi, set brevi. Ho aggiunto due musicisti di supporto che non avevo mai incontrato, quasi senza avere tempo per le prove. Ci sono volute agilità, umiltà, perseveranza e pazienza. E fortuna.
Ripensandoci, lo stesso tema che mi ha aiutato ad affrontare lo scorso anno e più, ha contribuito a dare vita a questo tour: la gratitudine. Ci sono stati momenti in cui ero stanco. Ci sono stati momenti in cui ero ammalato. Ma invece di levare canzoni, mi sono ritrovato ad aggiungerne. Invece di sentirmi scoraggiato, mi sono sentito incoraggiato. Sono grato per l’opportunità di creare e di suonare dal vivo. Sono grato per le persone eccezionali che hanno fatto sacrifici per venire a far parte di qualcosa di più grande di tutti noi. E sono grato per la famiglia di fan che rende possibile il tutto.
Quel che voglio dire è, se vi siete persi questi show, avete perso qualcosa di straordinario. Non per quello che ho fatto da solo, ma per tutti noi. Controllate i commenti qui sotto per vedere se sto esagerando. Questi non erano concerti né intrattenimento. Di certo non erano tributi o niente di triste. Non so come chiamarli, ma erano celebrazioni fatte di gioia, eccitazione, catarsi, urla, canti e salti che farò tutto il possibile per continuare a fare, finché ne avrò la possibilità […]“
Per molti altri questo show è stata una grandissima prova di forza di Shinoda, riuscito a mettere insieme uno spettacolo degno dei Linkin Park, seppur senza la inarrivabile voce di Chester – tra composizioni originali, gloriosi pezzi dei Fort Minor e brani dei Linkin Park mixati o riarrangiati per adattarsi alla sua voce, naturale o alterata dal vocoder ma sempre originale e ben integrata nel comparto musicale offerto. Forte soprattutto di una band di supporto di tutto rispetto a dare corpo a degli strumenti “suonati” e fare spazio alla fisicità di Mike quando si tratta di lanciare rime o cori graffianti verso il pubblico. Il frontman ed i Linkin Park dovranno affrontare scelte importanti nel prossimo futuro, ma con certezza possiamo affermare che Mike Shinoda ha la capacità di portare in scena ed in studio qualcosa di SUO ed allo stesso tempo un degno tributo ai Linkin Park senza battere ciglio o scontentare i fan più hardcore e potrebbe benissimo raccogliere l’eredità di questa band.
A causa dei tempi ristretti resta il rimpianto di non aver potuto sentire brani come I.O.U., Kenji, Hold It Together o magari a sorpresa anche It’s Goin’ Down, proposti invece in date molto più intime in cui l’artista poteva vantare un pubblico pagante esclusivamente per lui. Non ci resta quindi che continuare a sostenerlo e chiedere a gran voce il ritorno nel nostro paese, magari con uno show tutto suo. Attendiamo nel frattempo di vedere come evolveranno gli spettacoli live in vista del nuovo tour americano, in arrivo da Ottobre – ormai possiamo dirlo – con a supporto la band dei Don Broco. Ne vedremo delle belle…
https://www.youtube.com/watch?v=WuY_D4zyWEQ