Da oggi sugli scaffali dei negozi di musica ed in tutti gli store digitali del mondo, Post Traumatic è il tanto atteso ritorno di Mike Shinoda come solista.
Leviamoci subito il pensiero: questo è un album di Shinoda e non uno dei Linkin Park, nonostante adesso sembri essere l’eredità della band, non è un album composto per darne seguito diretto. Semmai, volendo analizzarlo a livello storico, possiamo vederlo come un passo avanti rispetto al progetto Fort Minor. La “scena” (per i feticisti della categorizzazione in generi a tutti i costi) è quella Rap, Hip-Hop e Pop moderna e le influenze sono tutte genuinamente di questo tipo. Inutile cercare il rap/rock marchio di fabbrica dei primi Linkin Park oppure i riff graffianti e le basi elettroniche figlie dei vari rinnovamenti che i losangelini hanno attraversato negli anni. Eppure, per ammissione stessa di Mike, alcuni pezzi dell’album arrivano direttamente dalle demo di One More Light (e si sente, direi), quindi possiamo vedere questo lavoro figlio in qualche modo delle recenti “sperimentazioni” di Shinoda e compagni nelle produzioni pop ed elettroniche degli ultimi anni.
Si è detto tanto sulla scelta di Mike di realizzare così a caldo un album e tornare in tour da solo, tante chiacchiere, speculazioni e malignità – ma i risultati finali sono piuttosto eloquenti: nonostante sia un pezzo da 90 della musica sembra quasi sentirsi in dovere di chiedere il permesso ai suoi fan di fare musica. La produzione e la promozione (seppur ben coperta dalla Warner Bros. e dal management dei Linkin Park) sono modeste e simili ad un lavoro Indie, i concerti sono più ristretti, completamente in solitaria ed il contenuto del disco (seppur veda qualche esimia collaborazione) non è da meno. Piacciano o no le sue scelte, quest’uomo ha dimostrato una grandissima umiltà e capacità artistica, realizzando in pochissimo tempo (e completamente da solo) un album completo sotto ogni punto di vista. La produzione, gli strumenti (a parte alcune chitarre quasi sempre campionati e sintetizzati), l’aspetto artistico (molto sentito e presente sia nei video in alcuni casi confezionati anche da solo che nei vari artwork e dipinti realizzati per l’occasione), le esibizioni ed interviste rilasciate, tutto crea un unicum davvero ben confezionato e studiato ad arte da Mike, e non ci si poteva aspettare diversamente.
Tralasciando il trittico iniziale, già recensito all’uscita dell’EP (a questo indirizzo la nostra recensione) e senza toccare direttamente ognuno dei pezzi dell’album (di cui trovate il nostro track-by-track ed impressioni a caldo a questo indirizzo) scorriamo velocemente i punti più interessanti di quest’album, pensato con un percorso non lineare che parte qualche settimana dopo la morte del compagno Chester e si conclude con una ritrovata voglia di mettersi in gioco.
Tra i brani più significativi di questa “montagna russa di emozioni” c’è il terzo estratto, About You (che si avvale della partecipazione di blackbear) – che suona davvero come più canzoni spezzettate ed incollate insieme, e rappresenta forse al meglio quest’album: se le voci sintetizzate ed il drop ricordano un po’ troppo la musica Trap tanto in voga negli ultimi anni, le parti genuinamente Hip-Hop e le rime di Mike sono tra le migliori mai messe insieme con tanto sentimento ed energia, riuscendo a piacere e creare disturbo allo stesso tempo. Promises I Can’t Keep (e la strumentale Brooding che la introduce) sono tra i pezzi più vicini allo stile più melodico ed Alternative dei Linkin Park seppur senza la verve dei restanti componenti del gruppo. Lift Off si avvale della voce di Chino Moreno e delle rime di Machine Gun Kelly e con le sue atmosfere oniriche e testi sopra le righe è sicuramente tra le perle di quest’album (nonostante l’occasione sprecata di realizzare un pezzo veramente al cardiopalma, cosa in cui l’ottima Running from My Shadow con grandson riesce benissimo). Crossing a Line e Ghosts sono tra i pezzi più “positivi” dell’album e sicuramente tra quelli che ricorderemo di più negli anni a venire, grazie a chorus azzeccati e produzione impeccabile. Al contrario tra i punti peggiori del lotto va citata la debole e ripetitiva Make It Up As I Go (con la voce principale di K.Flay, che non sarebbe neanche male se c’entrasse qualcosa con il resto dell’album) ed I.O.U. che poteva essere un gran pezzo con un chorus studiato meglio. Piccolo rammarico anche per la chiusura del disco, una Can’t Hear You Now molto bella ma forse non adatta come chiusura (ironico come le ultime cose che sentiamo di quest’album siano delle vocine sintetizzate totalmente a caso).
In questo percorso quindi, Mike si arrabbia, soffre, ha momenti di euforia ed altri di profonda disperazione – cade, si rialza ed ostenta speranza, eppure lo fa sempre in modo composto, strutturato, senza sbavature e con una produzione di grandissima fattura, pulita e puntuale nonostante il poco tempo a disposizione per completare i brani. Questo è il principale difetto di questo lavoro, che possiamo dirlo subito, vale tanto la pena, è un album completo come sonorità (variegate ma omogenee tra loro, con quel mood rap/pop moderno tra melodie, rime taglienti, autotune e basi elettroniche sopra le righe) e come testi affronta perfettamente il tema cardine del disco. Eppure… appare carente dal punto di vista dell’incisività complessiva. I pezzi sono quasi tutti belli, si lasciano ascoltare e restano abbastanza in testa ma sembrano ancora chiusi in una sacca emotiva ed artistica che gli impedisce di esplodere davvero e quindi come tali si lasciano anche perlopiù dimenticare facilmente. La sensazione è quella di non riuscire a toccare quasi mai certe vette di grandezza, pur avendone la possibilità, forse per paura di osare troppo o di lasciar andare troppo le proprie emozioni, chissà. Quest’album piace ma non lascia il segno.
Non so se possiamo definirlo un vero e proprio lavoro “primo”, ma sicuramente questo Post Traumatic non sarà ricordato come il capolavoro di Mike Shinoda e chi aspettava disperatamente un ritorno della musica che amava nei Linkin Park ne resterà amareggiato. Eppure c’è la sensazione diffusa che queste canzoni daranno il meglio di se direttamente nei live, nelle loro contaminazioni e fusioni con il materiale vecchio e nuovo dell’artista. Sarà sul palco che vedremo davvero esplodere il “POST-Post Traumatic” e sarà suonando che vedremo prendere al nostro Shinoda sempre più confidenza e consapevolezza di questa sua nuova direzione. Siamo più che sicuri che se le premesse sono queste ci aspetta un futuro musicalmente pieno di sorprese e grandi soddisfazioni, con e senza i restanti membri dei Linkin Park.