Heavy (feat Kiiara): la nostra doppia Recensione

Cover del singolo "Heavy (feat Kiiara)"

 

Le anticipazioni che hanno riempito gli ultimi giorni nell’attesa dell’uscita di Heavy presentavano molti argomenti e parole chiave. Ascoltando il nuovo singolo che anticipa l’uscita di One More Light la parola che in questo momento risuona di più in testa è “rischi”. I Linkin Park sembrano davvero intenzionati a prendersi moltissimi rischi con questa loro nuova fatica, perché a quanto pare Heavy rispecchia il sound che avrà il nuovo album. Questo significa che il gruppo californiano è intenzionato a stravolgere il loro stile ancora una volta a favore di un qualcosa molto meno aggressivo, più accessibile e poco ricercato.

Sì perché Heavy è probabilmente una delle canzoni meno complesse e studiate della carriera del gruppo, semplice e banale

La base si perde nella nebbia di altre centinaia di basi pop/R&B molto simili tra loro che popolano il genere, e la breve durata del brano non gli concede la possibilità di sperimentare qualcosa di diverso che non suoni come già sentito altrove.

La prova vocale di Chester risulta molto sottotono, specialmente nella prima parte della prima strofa dove sembra trascinarsi per voler arrivare al ritornello, l’unica parte che sembra importare veramente della canzone perché quella più corposa, fatta per restare in testa ma che rende piuttosto dimenticabile tutto il resto.

La presenza di Kiiara poteva essere un’ottima occasione per sperimentare qualcosa di nuovo, visto che si tratta della prima volta in cui i nostri collaborano con un’artista femminile in un brano che non sia un remix o un live. Invece la giovane cantante si limita ad una normale prestazione, dove il massimo che le viene chiesto di fare è cantare delle parti in solitaria o accompagnata da Chester all’unisono. Nessun tentativo di armonizzazione se non in un solo breve e fugace frangente, sarebbe stato decisamente più fantasioso e gradito.

Il testo rispecchia le tematiche di cui spesso parlano i Linkin Park, quelle dell’inadeguatezza, dell’essere vittime inermi di ciò che succede intorno a noi. Non aggiunge niente di nuovo che il gruppo non abbia già trattato ma esprime bene il senso di confusione e dispersione.

Heavy può essere classificato come un normale pezzo pop che troverà largo spazio nelle radio grazie ad un ritornello accattivante, ma che lascia tutto il resto della canzone in penombra. Probabilmente è uno dei più grandi rischi della carriera del gruppo perché spaccherà in due la loro fanbase, e da sempre la voglia di innovarsi del gruppo è stato uno dei loro più grandi pregi.

Tuttavia da un gruppo come loro ci si sarebbe aspettato qualcosa di molto più incisivo, molto più coraggio nel cimentarsi in un genere da loro solo sfiorato in passato. Solo l’ascolto di One More Light saprà dirci se i Linkin Park saranno in grado di muoversi efficacemente in questa loro nuova veste meno aggressiva e più soft, con la speranza di sentire qualcosa che sia molto più di un semplice e banale brano pop.

Recensione a cura di Stefano di Simone

 

I don’t like my mind right now

Così esordisce Heavy, l’ultima fatica dei nostri. Una canzone che non può non dividere, soprattutto per il suo essere così lontano dai toni e dallo spirito del superlativo The Hunting Party. Dove l’album del 2014 era quasi un epitaffio per un certo tipo di rock descritto sul finire degli anni ’90 dai Refused, Heavy è una canzone molto più modaiola, nel senso che ricalca a piene mani le linee guida del pop da classifica degli ultimi anni; con tutto ciò che accompagna una simile scelta stilistica. C’è da chiedersi se non fosse la stessa frase che passava per la mente di Mike Shinoda, talmente pare schizofrenica la scelta di una canzone così apertamente pop dopo l’offensiva anticommerciale di The Hunting Party.

È una scelta per certi versi incoerente? Si. È quindi una canzone completamente da buttare? No. È una bella canzone? No

Il problema principale che deve affrontare questa canzone è la mediocrità assoluta che la permea, non lascia all’ascoltatore motivo per essere invogliato a riascoltare la canzone. I pochi elementi che la contraddistinguono dall’essere completamente assimilabile alle top 10 delle classifiche, sono elementi che già si erano visti nel poco originale Living Things: la pienezza e la stratificazione progressiva del suono verso il finale di canzone non possono non ricordare Powerless e altri episodi di quell’album; così come l’estrema cura, quasi maniacale, nella produzione. In questo modo la canzone sembra perdere quell’elemento immediato e “ruspante” che ha fino ad ora caratterizzato i migliori episodi della carriera dei Linkin Park.

Allo stesso modo, questa cura maniacale ne fa un buon prodotto in quanto tale. Si nota quanto i nostri siano diventati con gli anni sostanzialmente dei nerd della produzione in studio, se questo sia una cosa positiva o negativa va lasciata al gusto personale di chi ascolta. Da un punto di vista prettamente strutturale, la canzone non si ripete mai due volte e c’è sempre qualche elemento a cambiare il sentore di un intreccio sonoro molto ben collaudato e coerente in cui nessun elemento sembra essere forzato all’interno della composizione, ogni parte della canzone si unisce all’altra senza fallo.

Rimane però il problema della mediocrità di Heavy. Un cantato estremamente piatto da parte sia di Chester che di Kiiara non riesce ad elevare un comparto strumentale funzionante ma non efficace, la banalità della melodia similimente non può sollevare una canzone sostanzialmente priva di atmosfera. Questi motivi sono gli stessi per cui difficilmente vedremo questa canzone scalare le classifiche di vendita: difficile sfondare fra il grandissimo pubblico senza una melodia catchy e cantabile.

Alla fine rimane questo: una canzone dei Linkin Park dimenticabilissima, ugualmente lontana dai loro episodi più infausti e dalle loro vette più splendenti. Certo è che per l’album intero le aspettative sono ben altre, ma sembra che la volontà di stupire avvistata del 2014 sia velocemente sparita. Forse è simbolico per tutto ciò la differenza tra le collaborazioni per le canzoni d’esordio di The Hunting Party e One More Light; rispettivamente una leggenda del hip-hop riesumata per rinfrescare il rock del nuovo millennio con la saggezza del passato e una completa novellina dell’ambiente tirata fuori per accodarsi al panorama pop odierno.

Recensione a cura di Giorgio Chiara