Kerrang!: “Mike Shinoda è la persona dell’anno”

mike shinoda

Il magazine Kerrang! ha dedicato un lungo articolo a Mike, definendolo Persona Dell’Anno e analizzando il suo percorso umano, artistico e musicale dalla scomparsa di Chester a ora attraverso una lunga intervista. Trovate qui la traduzione completa dell’articolo.

 

Dopo sedici mesi, il dolore per la morte di Chester Bennington, per molti rimane. Il fatto che Mike Shinoda possa considerarsi il capo tra coloro che soffrono ancora e allo stesso tempo fornisca una luce guida per la Linkin Park Family, lo rendono una personalità speciale. Un simbolo di forza, solidarietà e di celebrazione. Per Kerrang!, è lui la Persona Dell’Anno.

Questo è stato un anno caratterizzato dalla divisione. Il 25 Agosto 2018, però, 60mila voci hanno cantato, unite, “I had to fall, to lose it all, but in the end it doesn’t even matter…”. Al Reading Festival, una manciata di nuvole era appesa al cielo estivo, ma un sole insolente assicurava che sarebbe stata una bella giornata. Se qualcuno avesse guardato giù, avrebbe trovato una bella visuale. Era un momento di celebrazione e di commemorazione. Ma ancora di più, sembrava essere cambio di direzione. Sì, Chester Bennington, il frontman dei Linkin Park, se ne era andato da 401 giorni, e le ferite erano ancora aperte per molti che si è lasciato dietro. Ma, come in una delle sue più famose canzoni trasfigurata, si percepiva l’attenzione spostarsi: dalla tragedia passata alle possibilità future; dal soffocante dolore per la perdita di un artista alla straordinaria riscoperta di uno che è ancora qui. 

Immaginate la scena.

Mike Shinoda si trova da solo sul palco. “Voglio che cantiate così forte che Chester possa sentirvi”. La sua compostezza contrasta duramente con l’ondata emotiva che attraversa la folla. Un peso non visibile lo trattiene dal cedere, ma lui sopporta, dritto e forte. Quel sorriso calmo squarcia la solennità come un faro. Una marea di anime incerte che si estende fino all’orizzonte, si aggrappa ad ogni parola, sostenendosi l’un l’altra e sporgendosi verso il palco in un rituale di catarsi collettiva. Dalla prospettiva di un fan, è difficile trovare un momento più determinante negli ultimi dodici mesi. Per Mike stesso, è stato una delle tante fermate sulla strada sconosciuta che va dall’oscurità verso la luce. 

“Ero sorpreso” ammette, mentre ripensiamo a come i filmati della performance abbiano saturato le newsfeed durante le settimane successive. “L’esperienza che la folla ha vissuto quel pomeriggio è la stessa che offriamo ad ogni show”.

La sua tendenza al riferirsi ad occasioni come queste come ad una terapia di gruppo potrebbe sembrare un cliché, ma se mai ci sono stati trucchi da parte di Mike, sono cose che risalgono a molto tempo fa.

Quando parlò con Kerrang! a Marzo, in lui c’era ancora un certo sbalordimento. A parte quel momento da solo sul palco durante la celebrazione dei Linkin Park and Friends’ all’Hollywood Bowl, non era ancora arrivata la sua prima esibizione da solista. Ha trovato conforto nell’esprimersi in forma visiva ed nel vuoto di una tela bianca. Stava ancora avendo a che fare con la successione di quelle che Kubler-Ross definisce le cinque fasi dell’elaborazione del lutto: rabbia e rifiuto hanno concluso il percorso, contrattazione e depressione hanno affossato lo slancio. 

Ci troviamo alla fine di questo annus mirabilis e Mike ha raggiunto qualcosa che si avvicina all’accettazione. L’ha trovata nell’arte innovativa, nelle nuove esperienze e nel desiderio riscoperto di vivere la vita così come viene. Cosa più importante, l’ha trovata nei fan. Si è dimostrato una rock star di una guida emotiva ed un’empatia senza uguali, in un maniera che solo la tragedia può davvero provocare. In un genere che trova il suo orgoglio nella community, Mike ha portato questo concetto ad un altro livello.

Alcuni gruppi storici hanno perso dei componenti chiave. Alcuni, come AC/DC e Metallica, si sono precipitosamente dati da fare fino a raggiungere il successo. Altri, ad esempio i Nirvana, sono crollati e svaniti, come un ricordo, nella memoria. In pochi sono andati avanti con una tale apertura, onestà e pazienza. Nessuno ha mostrato una tale volontà di onorare il lutto – il proprio e quello dei fan – con una dignità così toccante. Quella perseveranza, vera, nel voler rafforzare il legame della Linkin Park Family, ha dimostrato che non c’era nessun altro candidato per il titolo di Person Of 2018 per Kerrang!. 

“Cosa ho fatto per meritarmelo?”, chiede Mike, cambiando discorso con tipica umiltà. “Questa cosa è più grande di me. È unica. Io posso metter su un’esperienza o un evento dove le persone di questa community si riuniscono. In fin dei conti, però, posso sempre allontanarmi sapendo che la community si sorregge da sola”.

La stagione di festival è ormai lontana ma quella community continua a crescere.

L’inverno sta arrivando nel Midwest Americano ma Mike ci parla dal suo tour bus – mentre guarda fuori alla distesa di degrado urbano di Cincinnati, in Ohio, con affabile calore. “L’aspetto lì fuori è molto aspro – un po’ spaventoso, di sicuro non glamour”, scherza. Tralasciando l’asprezza, lo show di questa sera davanti ad un pubblico di 1500 persone al Bogart’s, un teatro di vaudeville convertito che stona un po’ con l’avanguardia del suo sound, sarà solo un altro passo lungo il cammino cominciato lo scorso Gennaio.

A 25 giorni dall’inizio dell’anno, le tre tracce contenute in Post Traumatic EP hanno offerto ai fan una prima luce nel buio. Guardandosi indietro, Mike vede la loro importanza amplificata. Online e di persona, le dimostrazioni di dolore e supporto erano state intense. Solo il bagliore dell’esistenza che continua poteva porre freno alla tristezza. “La reazione dei fan mi ha davvero incoraggiato; ogni volta che facevo un passo sembrava ci fosse quest’ondata positiva in risposta. Sembrava che stesse aiutando le persone il semplice sapere che io fossi ancora qui.” 

kerrang shinoda“Sapevo che pubblicando quelle canzoni, molte domande dei fan avrebbero trovato risposta”, ragiona, “forse non in termini di dove sono e cosa farò, ma nel senso che ci sono e che sto facendo del mio meglio per sistemare quel che è successo. I fan ne avevano bisogno, ed anche io.”

L’8 marzo ha segnato un passo avanti più grande. Condividendo online la sua posizione alla Tower Records su Sunset Boulevard a Hollywood e annunciando che era pronto ad aprirsi, Mike ha richiamato centinaia di sostenitori. Ha instancabilmente fatto autografi e foto per tutti, girando il video per Crossing A Line in cambio. La prima volta che ha fatto ascoltare la traccia, l’affollato parcheggio è rimasto in un silenzio senza fiato. La seconda volta, aveva già memorizzato ogni parola.

“Incontrare i fan era e continua ad essere un’esperienza catartica”, sorride, “per tutti noi. Incontro fan che affrontano battaglie interiori e fan che indossano il loro dolore che traspare all’esterno. Incontro fan che sono stati devastati dalla morte di Chester e altri che si relazionano con la musica perché hanno vissuto esperienze che non hanno niente a che fare con Chester. Il loro supporto mi trasmette energia e spero che questo possa essere un momento stimolante che li aiuti a trovare la speranza”.

L’album Post Traumatic è uscito il 15 giugno. Un vero e proprio percorso attraverso il lutto; il suo coraggioso approccio ha sbalordito gli ascoltatori. Inoltre, ha spinto il suo creatore ad affrontare tutto quello che stava succedendo nella sua vita dopo la scomparsa di Chester: ogni movimento analizzato sotto il prisma della perdita.

“Quando ti decidi a pubblicare un album, non pubblichi soltanto della musica”, continua Mike. “Fondamentalmente è un impegno a mettere te stesso in posizioni esposte, ad avere alcune conversazioni con fan e giornalisti, situazioni in cui faranno domande dure o scomode ‘Che è successo?’ ‘Cosa stava succedendo con Chester?’ ‘Cosa farai ora?’. Sapevo che sarei andato fuori nel mondo, dove i fan avrebbero pianto, dove mi avrebbero raccontato le loro storie più difficili. Sapevo che sarebbe stato pesante, giorno dopo giorno. Ma mi sono reso conto che volevo uscire e cercare di aiutare”.

“Andando avanti fino a novembre, sembra assurdo quanta strada abbiamo fatto. Non vengo fermato di continuo per le condoglianze. è una sensazione positiva. Dico sempre che se capita di avere quei pensieri, preferirei che i fan li trasformassero in una celebrazione più che affrontarli in termini di cordoglio o rimpianto”.

Focalizzarsi sulla positività non è esattamente di moda nel 2018. In un mondo in cui i personaggi pubblici in ogni punto dello spettro sociopolitico hanno convertito la divisione in denaro, sembra che ci sia una vana innovazione in un individuo che si impegna a costruire strutture di supporto interculturali piuttosto che a tirarle giù.

Mike risponde semplicemente “Non c’è dubbio che, in modo particolare l’America, allo stato attuale sia un posto in cui vivere è incredibilmente stressante. Se questa band e la famiglia attorno a noi più aiutare ad alleviare queste sensazione, penso sia solo una cosa positiva. Torna tutto alla community”.

Anche le sterzate stilistiche che i fan dei Linkin Park hanno dovuto sopportare, annuisce Mike ironicamente, li hanno preparati a trovarsi attraverso nuove divisioni. “Ho fatto tanta musica che ha fatto scoppiare enormi battaglie nella nostra fanbase a causa dei drastici cambi di stile, come ad esempio passare da Hybrid Theory e Meteora a Collision Course e Fort Minor, poi a Minutes To Midnight, poi ad A Thousand Suns. Ho sempre provato a mettere il mio istinto artistico al primo posto, anche quando sapevo che a tanti non sarebbe piaciuto il risultato”.

La community, riconosce Mike, non dovrebbe neanche essere un’esclusiva del mondo rock. Il 20 aprile, la superstar EDM svedese Avicii si è tolta la vita all’età di 28 anni. La dimostrazione di solidarietà da parte dei fan dei Linkin Park che ne è seguita, è stata forse la dimostrazione più potente della loro accettazione. La loro volontà di empatizzare e supportare rifletteva quella di Mike. Ovviamente, rifiuta prendersene i meriti. 

“Quei gesti di supporto sono partiti dai fan dei Linkin Park”, sorride. “E’ qualcosa di cui sono enormemente orgoglioso. I nostri fan hanno visto altre persone essere ferite e si sono fatti avanti per dire ‘Capiamo quello che state affrontando, perché lo abbiamo affrontato anche noi’. Loro hanno iniziato questa solidarietà. è un’empatia che va oltre il genere, l’età o la cultura. Sono rimasto davvero impressionato”.

Come in ogni famiglia, ci sono state delle difficoltà. Gli scontri con l’auto-intitolata sventatezza degli auto-proclamati fan “old school” dei Linkin Park, che richiedevano un impossibile ritorno ai giorni di gloria di Hybrid Theory e Meteora, lasciano l’artista, che altrimenti sarebbe sereno, un po’ agitato. Mike lamenta la difficoltà di fare video streaming dalla pagina Facebook dei Linkin Park rispetto a quella del suo profilo solista. Un tentativo risalente al 26 settembre lo ha visto scontrarsi con dei troll. In una seconda apparizione quel giorno, era meglio preparato.

“C’è differenza tra il celebrare qualcuno e il rimanere bloccati”, attraverso la webcam ha comunicato ad un mondo di ascoltatori la promessa di dare degli aggiornamenti una volta ogni tanto. “Non voglio che rimaniate bloccati. C’è una cosa chiamata intelligenza emotiva e c’è una cosa chiamata empatia. Penso che voi ragazzi abbiate un livello più alto di empatia. In ciò c’è una connessione che è speciale. Non perdetela mai.”

È facile immaginare, sognare, una realtà alternativa in cui l’orrore dello scorso luglio non è mai accaduto. Il ciclo di One More Light starebbe per concludersi. Un gran numero di festival da headliners avrebbero potuto celebrare i 15 anni di Meteora. Nuovi colpi di scena creativi starebbero inevitabilmente quasi per arrivare.

“Ci penso sempre”, sospira Mike. “Mi vengono costantemente ricordate tutte le cose che io e Chester avremmo potuto fare insieme. È particolarmente toccante in questo tour da solista, considerando che andiamo in alcune città in cui i Linkin Park avrebbero dovuto suonare. Alcune di queste avevano date programmate per il tour di The Hunting Party che sono state annullate dopo l’infortunio alla gamba di Chester. È incredibilmente triste che ci siano dei fan che non hanno avuto la possibilità di vedere Chester cantare e che mai lo faranno”.

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In cuor suo Mike sa che l’esibizione live rimane il momento più importante del sua continua simbiosi emotiva con i fan. Nel ripartire, spontaneità è diventata una parola chiave. Un post su Instagram del 6 febbraio suggeriva a chi volesse vederlo dal vivo di “fare rumore”. La mattina seguente, un collettivo di fansite dei LP aveva già unito le forze. Mike sarebbe tuttavia tornato sul palco solo il 12 maggio al KROQ Weenie Roast al Galaxy’s StubHub Center di Los Angeles. Quando arrivò il momento, doveva per forza essere un (ri)battesimo di fuoco.

“Ricordo che volevo che fosse il più possibile una sfida per me stesso. Dovevo evitare la tentazione di renderlo un set a me più familiare con più ragazzi sul palco. Volevo rendere l’esperienza spoglia, proprio come la musica di Post Traumatic, e capire quali erano le vere necessità. Alla fine, mi sono presentato lì con praticamente solo la mia attrezzatura di produzione presa dallo studio”.

Era la genesi da cui si sarebbero poi evolute prestazioni più complesse. Passato il primo test, Mike sapeva che avrebbe avuto bisogno di più mani per la fase successiva della sua visione.

Si sono uniti a lui Matthias Harris, polistrumentista inglese, ed il batterista israeliano Dan Mayo (della band post rock TATRAN). Insieme sul palco, il trio evoca una versatilità che contrasta notevolmente con il regime quasi teatrale di un performance dei Linkin Park. “Entrambi i ragazzi sono bravi ad improvvisare” dice Mike, l’orgoglio percepibile nella sua voce. “Sono grandi nel seguirmi quando prendo decisioni improvvise e lo show prende direzioni non programmate”. Anche questo virtuosismo è messo in atto per i fan. Richieste strane – tracce davvero ricercate che sono per loro poco familiari – possono essere rielaborate su beat improvvisati. “Mi piace questo elemento risolutivo”, sorride Mike. I capricci fuori dagli schemi sono assecondati. La notte prima di Halloween, all’House Of Blues di Las Vegas, Mike ha ampliato il suo tradizionale cosplay per rimodellare l’intero trio come il leggendario collettivo hip-hop newyorkese Run DMC. Con un divertente colpo di scena, è riuscito ad eseguire una delle loro canzoni, aprendo lo show con una bomba del 1987, It’s Tricky.

Se ci fossero dubbi che delizie inaspettate di questo genere rendano l’esperienza del pubblico più profonda, alcuni nuovi canali lo dimostrano. La serie YouTube di Mike “Fan Stories” ha raccolto i pensieri dei partecipanti a show in tutto il mondo. (“È incoraggiante”, testimoniano. “Ti cambia. è come guardare qualcuno canalizzare tutto ciò che ha per divertirsi con te. Non ti senti come un membro del pubblico, ti senti parte dello show”).

Agli spettacoli, un distributore automatico di merchandising vende maglie esclusive e persino occasionali biglietti d’oro stile Willy Wonka che garantiscono l’opportunità di incontrare Mike stesso.

Anche l’arte visiva, che all’inizio dell’anno era lo spazio personale di Mike, ha avuto modo di uscire allo scoperto. “Io scarabocchio, disegno, dipingo continuamente”, spiega. “Sono contento di condividere di più con i fan”. Durante il tour nordamericano, i possessori dei biglietti VIP hanno avuto l’opportunità di collaborare con Mike in “mural workshop” di gruppo – dipingendo e colorando una griglia di copertine di vinili e avendo ‘l’opportunità di portarsene a casa una.

L’improvvisazione si è estate durante il festival Dia De Los Deftones a San Diego, per cui Mike ha creato stampe personalizzate e maglie in edizione limitata per la tradizione Messicana del Giorno Dei Morti.

Ovviamente le esigenze dei fan sono diverse. Mantenere un equilibrio è stato fondamentale: tra tristezza e celebrazione; tra ricordo e progresso; tra dolore e gioia. Mike si meraviglia delle diversità di cui è stato testimone durante quella che è già stata un’avventura intorno al mondo. All’inizio, gli show in Asia erano davvero intensi. I fan al Beijing’s Exhibition Theatre hanno tenuto una veglia di 45 minuti dopo lo spettacolo, cantando tra di loro in solidarietà finché il personale del locale ha chiesto loro di andare via. Durante un meet and greet in Giappone, ogni volto nella prima fila era coperto di lacrime. “È particolarmente sconcertante”, riflette il cantante, “in un luogo dove le persone di solito sono molto riservate riguardo le loro emozioni”.

mike shinodaI più recenti show Americani enfatizzano celebrazioni più allegre. A Dallas, in Texas, un fan ha regalato a Mike un cappello a forma di polpo ispirato dai suoi dipinti. Lui lo ha indossato verso la fine del set. Quando ad Atlanta, in Georgia, qualcuno di nome Zach ha chiesto, gridando, a Mike di essere suo padre, lui ha accettato, a condizione che venisse ribattezzato ‘Kachalani’.

Quel momento di ogni show prima di In The End, diretto e di riflessione collettiva, è diventato fondamentale. “Ogni volta è emozionante”, spiega il cantante. “è una parte del set che è su misura per ogni singolo pubblico; leggo la folla e parlo col cuore. Certe sere ci divertiamo, anche con simpatici botta e risposta. Altre sere possono essere tristi. Alcune notti possono anche diventare un po’ politiche”.

“Voglio dire questa cosa, però”, insiste deliberatamente. “Non voglio che tutto il mio set si riduca a quell’unico momento di tributo. Non credo che questo dovrebbe mai diventare un memoriale. Quel che voglio è un’esperienza vibrante e significativa, con tanti stati d’animo diversi. Io non potrei vivere con questa specie di sentimento funebre giorno dopo giorno. Mi deprimerebbe al punto che vorrei solo andare a casa”.

Il mantenersi sempre occupato è stato un efficace modo di reagire. Tuttavia, non è perennemente sostenibile. Mike sa che il lutto non è una gara da vincere. Nell’immobilità, quando l’agitazione finisce, l’oscurità può sempre riaffiorare.

“Certo che può”, sospira. “Mi osservo costantemente per essere sicuro di non essere in una fase di negazione o di evitare di affrontare alcune cose. Dato che molti della mia troupe erano in tour con i Linkin Park, parliamo spesso di Chester, ci raccontiamo le nostre storie preferite. A volte è dolce e amaro al tempo stesso. Ci sono ancora canzoni che non riesco a cantare: il primo verso di Over Again, One More Light, Breaking The Habit, Leave Out All The Rest. Sono troppo emotive”.

Mentre la sofferenza continua ad essere elaborata, il futuro rimane non scritto. Quando, anzi, se i Linkin Park torneranno, resta una domanda senza risposta che Mike preventivamente ignora con una fermezza che suggerisce che sia stanco di sentirla.

Ma comunque, l’interesse persiste. Numb ha appena superato 1 miliardo di visualizzazioni su YouTube. Online si scatenano speculazioni su ciò che potrebbe spingere ad un ritorno. Il chitarrista Brad Delson ha contribuito a Post Traumatic. Il bassista Dave Farrell ha addirittura preso parte ad alcune delle date Americane. “Siamo in contatto, ma parliamo quando capita”, afferma Mike. “Ognuno sta facendo cose diverse. Sono molto onorato che siano venuti tutti ad un mio show”

Nel frattempo, c’è molto da assaporare nell’indipendenza. “È appropriato che il singolo attuale sia Make It Up As I Go”, sorride. “Penso sia giusto dire che non vedo l’ora di fare più musica, fare altri show e anche collaborare con altri grandi musicisti. Credo sia facile confondere questa spontaneità e libertà con la mancanza di direzioni, ma mi sto godendo quello che faccio. Non sto andando vero nessun obiettivo al momento”.

“Nel corso dell’ultimo anno uno dei miei principi guida è stata la gratitudine. Non solo per la carriera che ho avuto. Ma per la possibilità di poter uscire là fuori, mettere le mani sulla tastiera e fare musica giorno dopo giorno. Essere seduto qui su questo tour bus mentre guardo questa vista fatiscente, di certo non ha niente a che fare con i Linkin Park headliners dei festival di Reading&Leeds, ma questo non vuol dire che io non sia grato per ogni singola opportunità di salire sul palco”.

“Sento di essere più me stesso ora”, conclude con una riflessione finale sui cambiamenti che il 2018 gli ha lasciato, “probabilmente perché sono stato costretto ad esserlo. È una bella sensazione”.

Che possa durare a lungo.